Uòlter Santo subito …

Con le Primarie ha fatto cadere il governo Prodi, con le elezioni politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento, candidando Rutelli ha perso Roma.
Così recita lo striscione della foto, beffardamente innalzato durante i festeggiamenti per l'elezione di Gianni Alemanno a sindaco di Roma.


Del resto, Massimo Calearo, il falco di Federmeccanica, il candidato di Uòlter del Nord-Est, non voleva fare santo Clemente Mastella per la caduta del governo Prodi?
E dunque Walter Veltroni, e con lui Dario Franceschini, dovrebbero trarre le conseguenze da questa disfatta immane.
Le dimissioni sono il minimo che la decenza dovrebbe suggerire ai "due fighetti del loft". Ma, come Bassolino, ci diranno che il dovere, lo spirito di sacrificio, il senso di responsabilità ... bla bla bla ... impongono loro di non abbandonare il comando fino a che i guasti prodotti non saranno stati rimossi. E capirai, per rimediare a questa Waterloo dovremo aspettare secoli.
Il popolo della sinistra eredita dalla loro gestione farneticante, visionaria, marziana, un cumulo di macerie ed una serie di incubi spaventosi.

Incubi, come quelli che ci prospetta il senatore Pietro Ichino, nemico degli operai e degli impiegati statali. Uno che ritiene di poter eliminare le diseguaglianze nel mondo del lavoro rendendoci tutti precari. Uno corteggiato da Silvio Berlusconi, che addirittura lo vorrebbe ministro del lavoro. Anche a questo ci ha condotti la follia del killer della sinistra. Ad eleggere nelle file del PD individui portatori di istanze politiche proprie della destra!!! Non solo Ichino, ma anche Calearo e Colaninno.

Ci restano le Madie, le Cardinali, le Carloni, qualche poetico onorevole che si diletta a fare il blogger. Gente che nessuno, nemmeno uno sprovveduto sognatore come Walter Veltroni, avrebbe mai, neanche lontanamente, immaginato di candidare in un collegio uninominale. E che, dunque, nel migliore dei casi, possiamo definire, ricorrendo ad un eufemismo, "miracolati della politica". E solo un miracolo potrà trasformare questa armata Brancaleone in una opposizione decente.

Di inesperienza politica ci bastava quella dell'ex sindaco di Roma. Non ne occorreva altra.

Forte con i deboli, ma puntualmente debole con i forti, il sedicente leader kennedyano dei democratici. Voleva governare da solo, e dunque via i Salvi, i Mussi, i Folena, gli Angius. Ma il profeta del nuovo non ha avuto nè la forza nè il coraggio di dimissionare, come sicuramente meritava, quell'Antonio Bassolino, governatore della Campania, esempio evidente, solare, di inettitudine politica ed incompetenza amministrativa. Ha saputo blaterare solo i ma e gli anche. Poi si è supinamente piegato alle logiche di partito, agli equilibri interni. Bene, con Bassolino il PD ha perso Napoli e la Campania.

Ed infine la ciliegina finale su una torta andata a male. Cicciobello, l'ex pasionario anticlericale poi folgorato sulla via di Damasco, candidato a Roma. La gestione della Capitale che diviene una questione privata fra i due. Un gioco. Io passo la palla a te, tu la passi a me. Magari, fra cinque anni, la passiamo a qualche rampollo/a imbecille ormai cresciuto/a (purchè con dottorato, che non guasta mai).

E così finisce che una "masochista" come me, che il 13 ed il 14 aprile non si era recata alle urne perchè disgustata dalla politica messa in atto da Walter Veltroni e dal PD, ieri, di prima mattina, dopo il risultato elettorale che aveva visto la scomparsa della sinistra dai banchi del parlamento, si è fiondata al proprio seggio per dare il voto a Gianni Alemanno. Yes, we can!

Avevo ironicamente commentato un post dell'onorevole blogger titolato tempi supplementari, scrivendo che era un'ottima idea quella di entrare nei supplementari per sostenere Rutelli al ballottaggio. Ed avevo aggiunto ".. come riporta il Corriere, bisognerà chiedere i voti al mondo gay, ai socialisti ed alla sinistra critica. Ottima strategia. Auguri."

La risposta dell'onorevole è stata: "Iin realtà, è Alemanno che deve chiedere voti agli altri, perché è lui che deve rimontarne 82 mila. E non li chiederà alle Orsoline…"

Ed io di rimando :"Ragionamento perfetto e logico il tuo. Se non fosse per il piccolo dettaglio che dal 13 e 14 aprile “qualcosa” è cambiato. Io credo che per diventare sindaco Rutelli dovrà chiedere i voti alla sinistra, ai socialisti e ai gay. Soprattutto dovrà chiedere che quei voti non finiscano altrove. Come diceva mio nonno - 2 + 2 non fa zero ma + 4, per l’altra parte …."

Sono stata una facile Cassandra, caro onorevole dalla troppo ostentata ed arrogante sicurezza. Quegli 82 mila voti non sono state le Orsoline a darli a Gianni Alemanno .. ;-)

Propongo di seguito l'estratto da un articolo di di Massimo Giannini, scritto per La Repubblica.

Non un'analisi rozza come la definisce il giornalista. Ma, a mio parere, la motivazione realistica di una disfatta ampiamente annunciata in questo blog.

Scrive Giannini:

... con la trionfale marcia su Roma di Alemanno la sconfitta del Pd diventa disfatta. Una disfatta che non è orfana, ma stavolta ha almeno due padri. C'è un padre, sul piano della proiezione politica romana. Si chiama Francesco Rutelli. Nonostante l'ottimo passato da sindaco negli ormai lontanissimi anni '90, stavolta Rutelli è stato un handicap, non una risorsa. Non è un giudizio politico, ma numerico. Il candidato alla provincia del Pd Zingaretti, nelle stesse circoscrizioni in cui si votava anche per le comunali, ha ottenuto 731 mila voti contro i 676 mila ottenuti da Rutelli. Vuol dire che quasi 60 mila elettori di centrosinistra, con un ragionato ancorché masochistico calcolo politico, hanno votato "secondo natura" alla provincia, mentre hanno fatto il contrario per il Campidoglio. Piuttosto che votare l'ex vicepremier del governo Prodi, hanno annullato o lasciato bianca la scheda. In molti casi hanno addirittura votato Alemanno. Dunque, a far montare la "marea nera" della Capitale che ha portato alla vittoria il candidato sindaco del Pdl ha contribuito un'evidente "pregiudiziale Rutelli" a sinistra. Soprattutto nelle aree più radicali. Che magari non ne hanno mai apprezzato "l'equivicinanza" tra le disposizioni della Curia vaticana e le posizioni della cultura laica. E che forse, punendo Rutelli, hanno deciso di dare una lezione al Pd, colpevole di aver "cannibalizzato" la sinistra nel voto nazionale di due settimane fa. Con una campagna elettorale imperniata su un principio giusto (l'autosufficienza dei riformisti) ma declinato nel modo sbagliato (il principale "nemico" è la sinistra). Così Veltroni, salvo che negli ultimissimi giorni, ha finito per perdere di vista il vero avversario, cioè Berlusconi. Adottando nei confronti del Cavaliere una forma di parossistica "pubblicità involontaria", con la trovata non proprio geniale del "principale esponente dello schieramento a noi avverso", ripetuta ossessivamente, fino all'assurdo, e così trasformata in un boomerang .

Di questa disfatta, quindi, c'è un padre anche sul piano della dimensione politica nazionale. Quel padre si chiama Walter Veltroni. Il leader del Pd ha scontato un deficit oggettivo: nella partita sulla sicurezza, determinante nel giudizio degli elettori in tutta Italia e nelle singole città, ha dovuto inseguire il Pdl. E da sempre, in quello che Barbara Spinelli sulla Stampa definisce il "populismo penale", la destra eccelle storicamente sulla sinistra. Semplicemente perché, nella percezione dei cittadini impauriti (giusta o sbagliata che sia) "does it better": può farlo meglio. Ma il leader del Pd ha pagato anche un errore soggettivo: non ha capito che la sfida su Roma avrebbe richiesto un altro "metodo di selezione", più consono all'idea del Partito democratico costruito "dal basso", che gli elettori avevano iniziato a conoscere e ad apprezzare con le primarie. La candidatura di Rutelli, al contrario, è il frutto dell'ennesima alchimia di laboratorio (o di loft). Una collocazione di "prestigioso ripiego", per un dirigente che è già stato sindaco due volte, che ha corso e perso un'elezione politica nel 2001, che è stato vicepremier nel 2006 e che ora, nel nuovo organigramma del Pd sconfitto il 13 aprile, rischiava di ritrovarsi senza un "posto di lavoro". L'opinione pubblica, di sinistra ma anche di centro e di destra, ne ha tratto la sgradevolissima impressione di una nomenklatura che usa le istituzioni come "sliding doors". Porte girevoli, dalle quali si entra e si esce secondo opportunità pratica personale, e non secondo utilità politica generale. Ora, sul terreno di questa incipiente Terza Repubblica, per il centrodestra si aprono le verdi vallate del governo nazionale e locale, da Milano a Roma, con la fine di quello che Ilvo Diamanti definisce il "bipolarismo metropolitano". Per il centrosinistra, al contrario, non restano che macerie. Risultati alla mano, è difficile contestare l'irridente sberleffo di uno striscione della destra che, in serata, inneggiava a "Veltroni santo subito", lungo la scalinata del Campidoglio: "Con le primarie ha fatto cadere il governo Prodi. Con le politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento. Candidando Rutelli ha perso Roma".

L'analisi è rozza, ma ha un suo fondamento. Ora il Pd corre un rischio mortale. All'indomani della disfatta, un regolamento di conti al vertice sarà inevitabile. Ma a un anno dalle elezioni europee, nelle quali si voterà con il proporzionale, un possibile ritorno al passato (cioè alla vecchia e agonizzante divisione Ds-Margherita) sarebbe imperdonabile.

29 Aprile 2008 · Patrizio Oliva




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