Come escludere dall’eredità mio figlio debitore?





Diritto di abitazione, eredità - quota di legittima e quota disponibile, eredità e successione





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Ho tre figli, due femmine ed un maschio: mia moglie è deceduta purtroppo anni fa e sono attualmente proprietario di due villini per un valore ciascuno di 280 mila euro.

Mio figlio, per una serie di attività intraprese ed andate male, ha contratto debiti per circa 200 mila euro. Per evitare che alla mia morte il creditore di mio figlio possa aggredire la sua quota di eredità, ho pensato di fare a lui una donazione fittizia in denaro per 280 mila euro (in conto quota di legittima) e lasciare alle due figlie, con testamento, un villino ciascuno, escludendo mio figlio dal testamento.

In modo che i creditori, all’apertura della successione non possano agire ex articolo 2900 del codice civile e surrogarsi a lui per chiedere il ripristino della quota di legittima. Cosa rischio?

Giusto per rendere comprensibile agli altri lettori il senso del quesito, va detto che Il creditore, in virtù dell’articolo 2900 del codice civile, può sostituirsi al coerede suo debitore, leso nella quota ereditaria di legittima da una disposizione testamentaria del padre, perchè gli sia restituito, nella fattispecie, un terzo della massa ereditaria (costituita dai due villini).

Tuttavia, la donazione effettuata in vita dal de cuius al coerede debitore (che verrebbe, naturalmente, eccepita dalle due sorelle a fronte di una eventuale azione giudiziale proposta dal creditore) andrebbe ad aggiungersi alla massa ereditaria. Pertanto, l’azione per il ripristino della quota ereditaria di legittima promossa dal creditore in sostituzione del coerede, suo debitore (escluso formalmente dalle disposizioni testamentarie del defunto) e finalizzata a far rientrare nel patrimonio del coerede, suo debitore, almeno un terzo dei due villini, si tradurrebbe in una partita di giro.

Allora, per poter proficuamente surrogarsi al coerede, suo debitore, nell’azione giudiziale finalizzata al ripristino della quota di legittima, il creditore dovrebbe innanzitutto esperire azione revocatoria (ex articolo 2901 del codice civile) eccependo la simulazione della donazione in quanto atto dispositivo (perfezionato dal debitore insieme al padre) sostanzialmente volto ad impedire l’azione esecutiva sul patrimonio del debitore (quale effettivamente è).

Purtroppo per il creditore, però, l’azione revocatoria, per essere ammissibile, deve realizzare la funzione ad essa assegnata dall’ordinamento e cioè quella di consentire al creditore, attraverso la mera inefficacia dell’atto dispositivo nei propri confronti, la soddisfazione del proprio credito con l’aggressione esecutiva (Cassazione, sentenza 4005/2013).

Nel caso di cui si discute, invece, l’accoglimento della domanda di revocatoria, con la dichiarazione di inefficacia dell’atto di donazione, non consentirebbe al creditore di aggredire la quota di proprietà dei beni ereditari, perché questi resterebbero nella titolarità delle sorelle sino al positivo esperimento dell’azione di riduzione. E, pertanto, tale domanda revocatoria risulterebbe inammissibile. E ciò indipendentemente dalle considerazioni di merito che sarebbe abbastanza agevole provare la simulazione dell’atto di donazione fittizia (trasfermento da genitore a figlio di 280 mila euro) mancando traccia del passaggio effettivo di denaro, nonché che il padre fosse consapevole del pregiudizio apportato al creditore del figlio con l’atto di donazione simulato.

Una soluzione più semplice (evitando i costi notarili per la donazione in danaro) potrebbe consistere nel disporre per testamento il diritto di abitazione, in uno dei due villini, per il coerede debitore. La stessa sentenza della Corte di cassazione innanzi citata, infatti, ha stabilito che è inammissibile l’azione revocatoria rispetto all’atto di adesione al legato in sostituzione di legittima e di rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione per lesione di legittima, atteso che, sostanziandosi l’atto di disposizione nella rinuncia ad una facoltà, l’eventuale accoglimento dell’azione, con la dichiarazione di inefficacia dello stesso, non consentirebbe al creditore di soddisfare le proprie ragioni, restando i beni nella proprietà dei soggetti individuati dal de cuius, sino al positivo esperimento dell’azione di riduzione, che presuppone la rinuncia al legato.

In pratica, la titolarità dell’azione di riduzione in capo al coerede debitore (e quindi, eventualmente, in capo al creditore ex articolo 2900 del codice civile) presupporrebbe l’espressa rinuncia al diritto di abitazione, assegnato per testamento. Inoltre, resterebbe pur sempre la non compatibilità con la funzione assegnata dal legislatore di un’azione revocatoria che abbia come risultato solo l’inefficacia dell’atto revocando (accettazione del diritto di abitazione) e non anche la possibilità di soddisfare il credito.

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31 Ottobre 2017 · Chiara Nicolai

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