Ho debiti e mio padre mi ha escluso dall’eredità con testamento – I miei creditori possono richiedere la riduzione dell’eredità in mia vece?






Al fine di salvare la mia quota di eredità da eventuali creditori che ho, mio padre mi ha escluso dal suo testamento, lasciando i suoi beni a mia sorella, a mia madre, a mia figlia (sua nipote) che dovrà però prendersi carico del mio mantenimento.

Così facendo, ovviamente, viene lesa la mia quota di legittima. La mia domanda è pertanto la seguente: solo io, il delegittimato, posso agire giudizialmente per chiedere la riduzione della legittima o possono eventualmente farlo anche i miei creditori?

Com’è noto, un genitore non può escludere il figlio dal diritto di ottenere una quota di eredità: infatti, a tutela dell’interesse generale alla solidarietà familiare, il nostro ordinamento giuridico prevede che i più stretti congiunti del de cuius hanno il diritto di ottenere, anche contro la volontà del defunto e in contrasto con gli atti di disposizioni testamentarie dallo stesso posti in essere, una quota di valore del patrimonio ereditario e dei beni donati in vita dal defunto stesso (diritto di legittima o di riserva).

Spesso, tuttavia, nel tentativo di evitare (o quantomeno di rendere meno probabile) l’eventualità che il legittimario debitore possa subire l’espropriazione dei beni che avrebbe diritto di ricevere in eredità, ad opera dei propri creditori, la soluzione viene individuata nell’escluderlo con testamento, stante la rinuncia da parte del legittimario debitore stesso ad esercitare azione giudiziale finalizzata al ripristino del diritto leso.

Purtroppo, però, gli articoli 2900 e 2901 del codice civile prevedono che il creditore possa domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle proprie ragioni. In particolare, l’articolo 2900 recita il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

Nella fattispecie, il creditore potrebbe chiedere la revocatoria dell’atto con il quale, prestando totale adesione e acquiescenza alle disposizioni testamentarie, il legittimario debitore avesse rinunciato a procedere per conto del debitore legittimario stesso al ripristino della quota ereditaria lesa.

In altre parole, qualora si configuri un’inerzia del legittimario debitore rispetto all’azione giudiziale finalizzata ad ottenere il ripristino del diritto alla quota di eredità che gli spetta, ricorrono i presupposti sanciti dal codice civile affinchè il creditore possa agire nella richiesta di collazione o nell’azione di riduzione della quota disponibile al de cuius, surrogandosi al legittimario.

Sia chiaro, non sempre il creditore è disposto ad anticipare le spese legali per avventurarsi in un’azione giudiziale complicata: tutto dipende, come sempre, dall’entità del credito e dal valore dei beni a cui il legittimario debitore avrebbe diritto ad esito dell’azione di riduzione o nella richiesta di collazione surrogata.

Una qualche possibilità di sottrarsi all’azione eventualmente promossa dal creditore, tuttavia esiste: supponiamo che al legittimario sia stato lasciato il diritto di abitazione di un immobile di proprietà del defunto. Soccorre, allora, il debitore l’articolo 551 del codice civile secondo il quale, se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato e chiedere la legittima. In poche parole è necessaria la preventiva rinuncia del figlio debitore al diritto di abitazione, disposto per testamento, per rivendicare la lesione della quota di legittima.

Ora, il creditore può surrogarsi al figlio debitore del de cuius per chiedere la rinuncia al diritto di abitazione ex articolo 2900 del codice civile? No, perché lo stesso articolo appena citato stabilisce anche che il creditore può sostituire l’erede debitore purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

Insomma, risulterebbe inammissibile l’azione revocatoria rispetto all’atto di accettazione del diritto di abitazione in sostituzione della quota di legittima in quanto essa sarebbe subordinata alla rinuncia preventiva del diritto di abitazione esercitata dal debitore che ha acquisito tale diritto. Nè la rinuncia all’acquisito diritto di abitazione potrebbe essere richiesta dal creditore in surrogazione del debitore (Cassazione sentenza 4005/2013).

22 Maggio 2017 · Annapaola Ferri

Ma se chi ha ereditato l’intero immobile lo vende in seguito, in quale posizione si troverebbe il debitore che ha il diritto di abitazione nei confronti dei suoi creditori? Alfonso Nigro

Il debitore nei confronti dei suoi creditori si troverebbe nella medesima posizione che aveva prima della vendita della casa su cui vanta il diritto di abitazione: in pratica, i creditori dovranno trovare altre modalità, diverse dall’esecuzione immobiliare (pignoramento del conto corrente, dello stipendio, ad esempio) per soddisfare le proprie legittime pretese, dal momento che il diritto di abitazione non è pignorabile (a differenza dell’usufrutto).

Peraltro, e solo per inciso, va aggiunto che il diritto di abitazione non si estingue con la vendita della casa: si tratta di un diritto reale trascritto nei pubblici registri immobiliari. In sostanza, chi acquista la casa, a meno di accordi con colui che detiene il diritto di abitazione, non potrà occuparla se non alla morte di quest’ultimo.

22 Ottobre 2018 · Simone di Saintjust


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