Eredità di un immobile ad uso abitativo sul quale grava ipoteca a garanzia di un debito esattoriale di importo superiore ai 400 mila euro

I diritto di abitazione si estingue con il fine vita del beneficiario e mai risulta trasmissibile ai suoi eredi


DOMANDA

E mancato mio ex marito in data 11 aprile 2021: siamo divorziati dal 2015, con due figli uno minorenne e una maggiorenne, casa di proprietà al 50%, in atto di divorzio abbiamo il diritto di abitazione fino a che i figli diventano autonomi, e la cessione a mio favore del 50% della casa, però non abbiamo fatto la trascrizione, alla sua morte ho fatto la visura dal geometra e risulta ipotecato il suo 50% per un debito di 417. 000 da Equitalia, quanto tempo abbiamo per rinunciare? Il diritto di abitazione vuol dire possesso del bene in eredità ai figli? Essendo prima casa? Puo Equitalia pignorare la casa?


RISPOSTA

Cominciamo innanzitutto col dire che il diritto di abitazione concesso al coniuge non debitore dal coniuge proprietario dell’immobile nonché debitore inadempiente, dopo l’insorgenza del debito, può essere soggetto a revocazione ordinaria dietro istanza del creditore ex articolo 2901 del codice civile. In ogni caso, tanto per chiarire le idee, se permanente, il diritto di abitazione si estingue con il fine vita del beneficiario e mai risulta trasmissibile agli eredi.
Analoga sorte (revocazione ordinaria ex articolo 2901 del codice civile) avrebbe il trasferimento del diritto proprietà (integrale o in quota) dell’immobile al coniuge non debitore affidatario dei figli.
In pratica, dopo il decesso del debitore, il creditore (Agenzia delle Entrate Riscossione, ex Equitalia) potrebbe spazzar via i tentativi naif messi in opera in vita dal debitore esattoriale inadempiente per tutelare il patrimonio familiare.
Mettiamoci allora nelle ipotesi reali per cui, con l’atto di divorzio, la casa familiare risulta essere stata assegnata al coniuge non debitore affidatario dei figli. Mentre risultano revocabili, e quindi inesistenti, sia il diritto di abitazione, sia la comproprietà per il coniuge divorziato del debitore inadempiente deceduto.
Sappiamo che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione personale o divorzio, non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell’assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa, ai terzi entro nove anni, ai sensi dell’articolo 1599 del Codice civile, o altrimenti anche dopo i nove anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto (Corte Costituzionale, sentenza numero 454/1989; Cassazione, sentenza del 23 marzo 2006, numero 4719; Cassazione, Sezioni Unite, 29 luglio 2002, numero 11096).
Pertanto, se l’atto di divorzio non è stato trascritto, in caso di espropriazione dell’immobile, il coniuge assegnatario della casa familiare può opporre al nuovo proprietario il diritto, di natura personale, di abitare l’immobile fino a nove anni dalla data dell’atto di divorzio, se, nel frattempo, i figli non sono diventati entrambi economicamente autonomi.
Analizziamo adesso le ipotesi di accettazione o rinuncia all’eredità: il coniuge divorziato non fa parte dell’asse ereditario, mentre i figli possono ereditare, accettando, ciascuno il 50% dell’immobile. La rinuncia all’eredità può essere effettuata, nelle mani di un notaio, oppure presso la cancelleria del tribunale territorialmente competente (in base al luogo di decesso del de cuius) entro dieci anni dalla data del trapasso a miglior vita del de cuius. In pratica è possibile attendere per verificare se si fanno avanti dei creditori per decidere se rinunciare o accettare, anche se chi vi ha interesse (anche il creditore di un chiamato) può chiedere al giudice di abbreviare il tempo concesso per decidere se accettare o rinunciare.
Ad esser precisi, il minore, chiamato all’eredità, può solo accettare con beneficio di inventario (articolo 471 del codice civile): la norma, peraltro, con il successivo articolo 489 accorda un ulteriore vantaggio al minore prevedendo che, anche laddove non abbia in precedenza provveduto a redigere l’inventario, possa comunque predisporre tale atto nel termine di un anno dal raggiungimento della maggiore età, conservando quindi gli effetti e i vantaggi del beneficio. In poche parole, la madre del minore può anche non redigere l’inventario per il figlio minore: quest’ultimo al compimento del 18. mo anno di età può anche evitare di redigerlo, diventando così erede puro e semplice (senza dover pagare parcelle ai notai).
Quindi, è pacifico che anche volendo, il minore non possa rinunciare: il creditore (Agenzia delle Entrate Riscossione) non potrà espropriare la casa se in essa il minore vi risiede e se egli non risulta essere proprietario di altri beni immobili.
Il rovescio della medaglia da tener ben presente, è che una volta diventato maggiorenne , il figlio accettante (prima con beneficio di inventario) potrebbe subire da Agenzia delle Entrate Riscossione, nel corso degli anni di tutta la vita, il pignoramento dello stipendio (fino al 20%), del conto corrente o le trattenute ex articolo 48 bis del DPR 602/1973 (in pratica potrebbe perdere qualsiasi rimborso da parte di un qualsiasi organismo della Pubblica Amministrazione).
Analogo discorso vale anche per l’altro figlio qualora volesse accettare la comproprietà dell’immobile. Se il figlio maggiorenne rinunciasse all’eredità del genitore defunto, il figlio attualmente minorenne, e per questo obbligato ad accettare con beneficio d’inventario, diverrebbe proprietario del 100% dell’appartamento nel caso di accettazione al compimento del 18. mo anno di età.


29 Maggio 2021 - Rosaria Proietti

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