Chiara nicolai

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Il 26 giugno 2009 il Consiglio dei Ministri diede il via libera alla manovra d’estate, un decreto legge che conteneva anche misure finalizzate a contrastare la reintroduzione, sotto mentite spoglie, di clausole contrattuali per la remunerazione della controversa commissione di massimo scoperto.

Come lei sa, i decreti legge devono essere firmati dal Presidente della Repubblica e poi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

E proprio il 5 agosto 2009 ci fu la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (78/2009) – e quindi la legittima entrata in vigore – delle norme riguardanti la commissione di massimo scoperto, a cui lei si riferisce.

Quando raramente accade è sempre con immenso dispiacere che sono costretta a dar ragione alle banche.

Massimo scoperto, class action contro Intesa

I giudici mandano la banca in tribunale La class action è stata promossa dagli stessi correntisti degli istituti di credito contro l’applicazione “occulta” delle contestate commissioni di massimo scoperto. La decisione è stata presa dal tribunale di Torino

Adesso è ufficiale. L’associazione di categoria Altroconsumo è formalmente autorizzata a portare in tribunale l’istituto di credito Intesa Sanpaolo nell’ambito di una class action promossa dai suoi stessi correntisti contro l’applicazione “occulta” delle contestate commissioni di massimo scoperto. Lo ha stabilito in via definitiva la Corte d’Appello di Torino respingendo l’istanza della banca che mirava a bloccare sul nascere l’azione collettiva. Nella sua sentenza, precisa una nota diffusa dalla stessa associazione, il tribunale torinese ha infatti ritenuto che Altroconsumo “rappresenti adeguatamente gli interessi dei correntisti”, affermando, di conseguenza, il diritto dell’ente di procedere nelle aule di giustizia.

“E’ un risultato senza precedenti per i correntisti bancari coinvolti e per i consumatori più in generale, in un momento di grave sofferenza finanziaria del Paese e dell’intera area Euro, e di discussione sulla credibilità del settore bancario” ha dichiarato il presidente di Altroconsumo Paolo Martinello. “La trasparenza e il rispetto delle regole – ha aggiunto – sono criteri da applicare irrinunciabilmente alla propria clientela e utenza. In mancanza, i diritti dei correntisti devono poter essere tutelati attraverso il nuovo strumento della class action, che per la prima volta in Italia viene ammesso nei confronti di un importante istituto bancario, per una vicenda che coinvolge migliaia di consumatori”. Per arrivare a una sentenza di primo grado, si stima, dovrebbero trascorrere non meno di due anni.

La vittoria incassata dall’associazione si configura, dunque, come una tappa intermedia di un percorso ancora potenzialmente lunghissimo – il tribunale deve ancora fissare tempi e modi per la raccolta delle adesioni e l’avvio dell’azione legale – ma, al tempo stesso, rappresenta anche un evento di portata notevole. Pesante, infatti, il precedente stabilito dalla Corte che, con la sua decisione, potrebbe ora dare il via a una nuova ondata di cause sul fronte di un tema caldissimo. Insomma, dopo i Tango bond e i derivati degli enti pubblici, i tempi potrebbero essere ora maturi anche per una richiesta di risarcimento su quei costi extra formalmente aboliti da una norma di due anni fa, ma misteriosamente riapparsi nell’inestricabile foresta dei dettagli contrattuali a disciplina della relazione banca/cliente.

Riassumendo: la commissione di massimo scoperto non è altro che la percentuale pagata dal correntista sul deficit del proprio deposito, ovvero, la “multa” imposta sul conto quando quest’ultimo va in rosso. Un balzello, per così dire, che è stato spesso giudicato iniquo anche da voci piuttosto autorevoli del settore finanziario, a cominciare dal futuro presidente Bce Mario Draghi che, nel 2008, parlò apertamente di “istituto poco difendibile”. Talmente poco difendibile, in definitiva, da essere sostanzialmente abolito (con l’eccezione di pochi casi) nel 2009 da un decreto poi convertito in legge. Ma anche talmente conveniente (si parlò nel 2009 di introiti complessivi pari a 10 milioni di euro al mese per il sistema bancario italiano) da essere riproposto dagli istituti di credito con altri nomi e medesimi effetti. A qualche mese di distanza dall’entrata in vigore del decreto, ad esempio, Intesa Sanpaolo aveva sostituito la vecchia imposta con la rinnovata “commissione per scoperto di conto” equivalente a 2 euro per ogni 1000 (o frazione di scoperto) e per ogni giorno di “rosso” contabile fino ad un massimo di 100 euro ogni tre mesi. Un’analisi condotta nel maggio 2009 da Altromercato aveva fatto emergere comportamenti del tutto simili (ma a costi ancora più onerosi per il correntista) da parte di Unicredit, Monte dei Paschi, Banca Sella e Bnp.

Raggiunto telefonicamente, il presidente di Altoconsumo Paolo Martinello ha chiarito i motivi che hanno spinto l’associazione a tentare una causa, per il momento, soltanto contro Intesa. “Si tratta di una scelta non solo simbolica ma anche pratica – ha spiegato – dal momento che parliamo del principale istituto di credito italiano, quello con il maggior numero di correntisti”. La strategia è chiara: adesso, ha precisato ancora Martinello, è necessario aggregare il maggior numero possibile di querelanti e raccogliere indicazioni importanti per ipotetiche iniziative future nei confronti di altre banche. Iniziative, queste ultime, “che saranno valutate eventualmente in seguito”. Per il momento occorre soprattutto sperare nella voglia di molti correntisti di avviare una causa per questioni di puro principio. Le singole somme contestate non arrivano in molti casi alla decina di euro.

La prima domanda da porsi è questa: il signore al telefono era veramente un avvocato?

Forse si, ma anche no!

Legga questa interessante storiella “Samantha, agente precario di recupero crediti contro Pippo debitore per forza – Una guerra fra poveri” e vedrà che qualche dubbio sorgerà anche a lei.

Se ha appena cominciato a capire come funzionano le cose, passi a queste ulteriori letture:

1) >Come non pagare tutto il debito e vivere sereni!
2) Una guida di sopravvivenza per debitori assediati

Vi troverà riferimenti utili a comprendere come dovrebbe comportarsi il debitore insolvente perseguitato vessato e vittima delle continue (inutili) richieste di pagamento.

La consultazione del materiale indicatole le insegnerà a trattare con creditori, società di recupero crediti ed agenti esattoriali (di phone collection o di esazione domiciliare) con preparazione, conoscenza dei suoi diritti e senza alcuna sudditanza psicologica (e nessun timore reverenziale).

Oggi cara signora i debiti si pagano dopo un accordo con fra debitore e creditore (concordato) – con piano di rientro a saldo e stralcio – per un importo che si attesta intorno al 10% della cifra originaria, con punte al ribasso anche del 5%.

Si documenti in questa sezione.

E veniamo al minacciato pignoramento.

Non immaginerà mica che l’ufficiale giudiziario arrivi in forze a sirene spiegate con carabinieri e polizia?.

Il pignoramento, quando non v’è pregiudizio per il creditore, deve essere eseguito preferibilmente sulle cose indicate dal debitore.

In ogni caso l’ufficiale giudiziario deve preferire il danaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito che ritiene di sicura realizzazione.

Il pignoramento deve essere eseguito di preferenza sulle cose che l’ufficiale giudiziario ritiene di piu’ facile e pronta liquidazione nel limite di un presunto valore di realizzo (calcolato aumentando della metà l’importo del credito precettato) oppure è tenuto a pignorare le cose indicate espressamente dal debitore. Rileggete questo passo, è importante!

Infine, ammettiamo che venga pignorato un salotto in similpelle. Trascorsi i tempi tecnici della custodia, credete sia facile e sbrigativo vendere l’oggetto al pùbblico incanto? E soprattutto: a che prezzo e a chi interesserebbe?

Gli sciacalli di professione gìrano sì nei Tribunali (in combutta con le Cancellerìe e gli Ufficiali Giudiziari) ma non certo per partecipare alle aste del vostro mobiletto, ma ad altre ben più sostanziose. Chiaro il concetto? Spero di sì.

Sfatiamo qualche luogo comune: l’ufficiale giudiziario NON viene con la grancassa, nè con i Carabinieri, nè con la muta di cani nè con un camion per portarsi via mobili e suppellettili.

L’ufficiale giudiziario è’ una persona discreta conscia della delicatezza del suo ruolo e agisce in modo asetticamente impersonale, nel senso che non fa quasi mai gli interessi del creditore. Lui è solo una specie di notaio che certifica e sequestra preventivamente ciò che eventualmente è da pignorare.

In genere è lui a chiedere al debitore se c’è qualcosa da pignorare o cosa il debitore vuole indicare che ci sia da pignorare.

Quando il debitore (come spesso accade) allarga le bracia sconsolato e si guarda intorno, l’Ufficiale Giudiziario fa spallucce e redige il pignoramento NEGATIVO o INFRUTTUOSO.

Non gira per le stanze in cerca di tesori nascosti, nè apre cassetti, nè cerca casseforti dietro i quadri, nè perquisisce nessuno.

E’ solo una persona che fa il suo lavoro e lo fa nella forma più discreta possibile. Tutto qua, anzi, nella eventualità, non dimenticatevi di offrirgli un caffè.

In conclusione: un pignoramento mobiliare ad un povero debitore quasi mai serve a recuperare qualcosa.

Allora, gentile signora, spero che lei abbia fatto in tempo a leggere tutto (o almeno buona parte dei testi consigliati) prima di mezzogiorno. Così farà in tempo ancora a passare al mercato invece di recarsi in banca a ritirare il libretto degli assegni.

E mi faccia una cortesia: se la richiama l’avvocato, gli dica che gli assegni post datati sono vietati per legge.

E, se al posto degli assegni chiederà cambiali, le risponderà che la mamma le ha imposto di non dare mai cambiali agli sconosciuti…

Come è caldamente raccomandato qui.

26 Settembre 2011 · Chiara Nicolai

La banca non effettua alcuna rivalsa sul proprietario dell’appartamento in cui risiede il debitore.

Il proprietario dell’appartamento in cui risiede il debitore non è un coobbligato, nè un garante del debitore.

Semplicemente l’Ufficiale Giudiziario presume (presunzione legale di proprietà) che tutto il mobilio, le suppellettili, gli elettrodomestici presenti nell’appartamento siano proprietà di chi vi ha residenza.

Ed allora, le soluzioni sono di solito queste:

  1. contratto di affitto stipulato con il debitore con comodato d’uso del mobilio;
  2. perizia giurata in Tribunale – da parte di un tecnico (preferibilmente un Consulente Tecnico d’Ufficio) – con inventario dettagliato di quanto presente nell’appartamento ad una certa data, anteriore al trasferimento della residenza del debitore;
  3. utilizzo di testimoni terzi a cui far dichiarare – al momento dell’eventuale pignoramento – che mobili ed arredamenti preesistevano alla data in cui è stata offerta ospitalità al debitore. Non guasta anche una velata minaccia, rivolta all’Ufficiale Giudiziario, di esposto denuncia per falso ideologico nel caso in cui lo stesso procedesse comunque al pignoramento.

L’opzione numero 3 è la meno preferibile rispetto alle precedenti in quanto, quasi sempre, richiede uno spostamento (con i testimoni) presso la cancelleria del Tribunale per firme e dichiarazioni da allegare al verbale di pignoramento infruttuoso.

Diciamo che attenendosi a quanto indicato ai punti 1 e 2 l’ufficiale giudiziario redige senza problemi un verbale di pignoramento infruttuoso.

26 Settembre 2011 · Chiara Nicolai

Di siti che lei cerca ne trova migliaia googlando sul web e per quel che riguarda gli amici l’acquisto pre asta è sempre la soluzione migliore.

Ma mi sfugge come riesca ad aiutarli in questo modo.

Disponendo di liquidità tale da poter acquisire l’immobile pre asta può concedere un prestito garantito da ipoteca secondaria all’amico o, addirittura, surrogare l’ipoteca primaria, consentendogli così di liberare l’immobile dal vincolo ipotecario iscritto dal creditore terzo.

Per quello che le serve, le basta fornire all’agenzia, a cui si rivolgerà per le visure catastali, il nominativo dei suoi amici proprietari di immobili che intende aiutare.

Avrà un panorama dettagliato sui loro debiti garantiti da ipoteca, e potrà scegliere il/i fortunato/i.

Complimenti per la sua generosità!

26 Settembre 2011 · Chiara Nicolai

Esiste una legge che permette ad Equitalia di compensare i crediti vantati da fornitori di beni e servizi verso la PA, quando questi fornitori abbiano importi iscritti a ruolo che superano i 10 mila euro.

Ammesso che lei vanti verso il ministero Pinco Pallino un credito di 12 mila euro, per fare un esempio, e nello stesso tempo abbia da pagare cartelle esattoriali per 11 mila euro, accade questo.

Prima di pagare la sua fattura viene implementata la procedura seguente:

  1. il ministero Pinco Pallino si rivolge ad Equitalia e chiede se lei abbia importi iscritti a ruolo;
  2. Equitalia comunica che lei è debitore di 11 mila euro;
  3. il ministero le corrisponde, a fronte delle sua fattura, solo mille euro.

Questo in soldoni (in realtà lei potrebbe anche rifiutarsi di accettare la compensazione, ma dubito che vedrebbe mai i restanti 11 mila euro).

La procedura non è biunivoca. Cioè, se lei vanta crediti con la PA non può compensare importi dovuti ad Equitalia (nel caso specifico, i contributi previdenziali iscritti a ruolo).

In altre parole la volontà di compensazione non può partire dal contribuente, ma solo dalla PA. Nel senso che se se lei vanta crediti verso la PA, quest’ultima potrebbe anche decidere di non ottemperare al pagamento, mentre lei non può esimersi dal corrispondere gli importi iscritti a ruolo, a meno di non farsi carico delle conseguenti azioni di recupero coattivo messe in atto da Equitalia.

Come in ogni giungla che si rispetti, anche in Italia vale la legge del più forte.

Se, invece, lei vanta crediti verso un’azienda privata non c’è alcun modo di compensarli con i suoi debiti contributivi. Può solo rivolgersi ad un’azienda di recupero crediti o ad un avvocato specializzato in riscossione coattiva.

26 Settembre 2011 · Chiara Nicolai

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