Scenario possibile di massacro della busta paga per un debitore dipendente pubblico sottoposto ad azione esecutiva












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Sono un dipendente pubblico con stipendio di 1400 euro: sulla busta vi sono trattenute per 270 euro (cessione del quinto), 250 per doppio quinto e successivamente crediti alimentari per 350 euro, per cui il netto erogato e’di 530 euro, ovvero il datore di lavoro mi sta corrispondendo meno della metà dello stipendio.

Avendo debiti con due finanziarie, mi sono opposto ad entrambe per guadagnare tempo su consiglio,i n momento di ansia, probabilmente sbagliato. Un debito di 15 mila euro, altro di 40 mila. Per il primo è giunta sentenza di soccombenza con aggravio di spese. Pertanto, ci sono azioni che potrei fare in attesa che mi giunga il precetto? E’percorribile la strada della legge salva suicidi o la successiva 155/2017? Di quanto massimo potrà essere il pignoramento, viste le trattenute su menzionate? Il datore di lavoro dovrebbe comunque garantirmi la metà dello stipendio e quindi limitare il pignoramento oppure rivalutare le quote cedute a suo tempo quale quinto e doppio quinto? Conviene cointestare il conto dove affluisce solo lo stipendio (possiedo solo una vecchia auto). Chi ha patologie gravi di salute può farlo presente al giudice?

Cominciamo col dire che chi le ha consigliato di opporsi ad una decreto ingiuntivo in assenza di possibili reali contestazioni sulla debenza, o era un ignorante oppure, peggio, agiva in malafede per un tornaconto personale (ad esempio, un avvocato che si dichiara disponibile a presentare opposizione in tribunale). Il più delle volte non conviene corrispondere parcelle di professionisti per avere, al massimo, quaranta giorni di tempo in più per la notifica del precetto.

Sgombriamo poi il campo da un’altra percezione errata, quella secondo la quale il datore di lavoro possa agire, motu proprio, per posticipare il pagamento delle rate del prestito dietro cessione del quinto o del prestito delega (il doppio quinto) oppure possa disporre la riduzione delle stesse. Non è il datore di lavoro a dover salvaguardare il prelievo dalla busta paga in modo da lasciare almeno la metà dello stipendio netto al debitore lavoratore dipendente: ci deve pensare il giudice osservando la normativa vigente.

Il datore di lavoro viene indicato come terzo pignorato in ragione del fatto che è, appunto, un soggetto passivo il quale deve adempiere, punto per punto, alle decisioni del giudice adito dal creditore procedente.

Viene coinvolto nel procedimento, suo malgrado, esclusivamente in qualità di debitore, a sua volta, del debitore escusso e non svolge alcun ruolo attivo, se non nel rappresentare al giudice la situazione del proprio dipendente in termini di cessioni del quinto e pignoramenti in corso.

E veniamo al merito della questione: come accennato, la legge prevede che al debitore a cui si pignora lo stipendio deve essere lasciata almeno la metà della busta paga, considerata al netto degli oneri fiscali e contributivi, ma al lordo dei pignoramenti, della cessione del quinto e del prestito delega.

Il problema risiede nel fatto che per verificare se lo stipendio residuo lasciato disponibile al debitore risulti pari o superiore alla metà dello stipendio percepito, si considera solo l’importo destinato a servire la cessione del quinto (non il prestito delega da lei indicato come doppio quinto) e quello relativo alle trattenute per pignoramento in corso. Inoltre, da quanto si capisce, sul suo stipendio opera una trattenuta di 350 euro per crediti alimentari, ex articolo 8 della legge 898/1970 e/o per ordine diretto di pagamento ex articolo 156 del codice civile la quale, purtroppo, non viene considerata alla stregua di pignoramento in corso e non lo è in punta di diritto: alcuni Tribunali (ma non in tutti) lo equiparano ad un pignoramento e stabiliscono in conseguenza l’ulteriore quota da sottrarre allo stipendio quando un nuovo creditore bussa alla porta. Ma il gioco funziona solo se il creditore leso non si opponga alla decisione.

Per capirci: il suo stipendio è di 1400 euro al netto degli oneri fiscali e contributivi: la metà di 1400 euro è 700 euro: poiché dalla busta paga vengono prelevati al momento solo 270 euro per cessione del quinto ci sono, nel peggiore dei casi, altri 700 – 270 euro = 430 di capienza per un pignoramento del quinto (280 euro) da assegnare alla prima finanziaria insoddisfatta che si muovesse giudizialmente.

Poi se è fortunato, il giudice adito potrebbe considerare come pignoramento la ritenuta diretta per credito alimentare e come una cessione del quinto anche il prestito delega (doppio quinto): in questo caso non ci sarebbe alcuna capienza per l’eventuale finanziaria procedente. Ma, in una simile ipotesi favorevole al debitore, il giudice decidente, per evitare che il creditore dichiarato incapiente possa rivolgersi, con successo, al giudice delle esecuzioni, dispone la riduzione delle rate per cession del quinto e del prestito delega per fare spazio al prelievo destinato alla finanziaria. Ma si tratta di un terno al lotto, un evento fortunato e non un diritto del debitore esecutato. Peraltro una riduzione della rata del prestito delega si traduce in un onere ulteriore per il datore di lavoro: infatti il prestito delega non è regolato per legge. Si tratta, sostanzialmente, di un impegno personale che assume il datore di lavoro, il quale sarà costretto ad anticipare di suo, al creditore che ha concesso il doppio quinto, l’importo della rata eventualmente decurtata dal giudice.

Infine, giusto per rendere chiaro il quadro normativo di riferimento, aggiungiamo pure che il giudice chiamato a decidere, nel quantificare l’entità del prelievo da applicare alla busta paga del debitore esecutato deve tener conto delle norme di legge generali (articolo 545 del codice di procedura civile) nonché di leggi speciali, quale il Decreto del Presidente della Repubblica 180/1950, afferente il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti pubblici. O, al massimo, può interpretare qualche norma in senso favorevole al dipendente debitore (assimilare un ordine diretto per crediti alimentari ad un pignoramento ed un prestito delega ad una cessione del quinto), ma non può certamente tener conto di situazioni riguardanti le condizioni di salute del debitore o gli oneri (mutuo o canone di locazione, tasse, spese sanitarie, spese per corsi di studio dei figli) a cui egli è chiamato ad adempiere. La ragione è semplice: il creditore procedente insoddisfatto ricorrerebbe impugnando la decisione sulla base della circostanza, per intenderci, che il giudice non può fare il generoso, commuovendosi per la situazione in cui versa il debitore escusso, comprimendo il diritto legittimo del creditore procedente che punta a veder restituito il credito erogato e mai rimborsato (A Roma si direbbe, con una perifrasi che rende il concetto, anche se politicamente scorretta e affetta da conclamata omofobia, che il giudice non può fare il frocio con il culo altrui).

La buona notizia, dopo tante cattive, è che solo il primo creditore procedente potrà ottenere una fetta di stipendio: il secondo dovrà attendere che venga rimborsato integralmente il primo prima di attingere alla busta paga del creditore: infatti l’articolo 545 del codice di procedura civile dispone che per crediti ordinari (prestiti non rimborsati a banche e finanziarie) la percentuale massima di prelievo dallo stipendio non può eccedere il 20%. se si rivolgono contemporaneamente al Tribunale il giudice potrebbe anche decidere di assegnare il 10% a ciascuno dei due.

Il consiglio dopo tanta fuffa? L’articolo 480 del codice di procedura civile dispone che il precetto deve contenere l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi della legge 3/2012, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.

Si tratta, comunque, di una procedura (quella prevista dalla legge 3/2012) che deve essere adottata dal debitore in occasione della notifica del precetto e non dopo la notifica dell’atto di pignoramento presso il datore di lavoro.

Questo link consente di accedere al registro gestito dal Ministero della Giustizia dove è possibile reperire l’elenco degli organismi abilitati alla composizione della crisi da sovraindebitamento, nonché tutti i dati di contatto, per ottenere adeguata assistenza nella presentazione di piano del consumatore presso il Tribunale territorialmente competente.

Si potrà cercare l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) più vicino al luogo in cui il debitore vive e lavora, semplicemente effettuando una ricerca su Google (o altri motori) con chiave OCC in aggiunta alla provincia o alla regione prescelta.

Questa può essere la soluzione: proporre al giudice preposto a comporre la crisi da sovraindebitamento, con il supporto degli organismi OCC, un piano del consumatore che, tenuto conto della oggettiva situazione in cui versa il debitore, porti ad una rimodulazione dei piani di rientro relativi alle esposizioni debitorie a cui non si riesce più a far fronte con quanto residua dallo stipendio, con rate mensili sostenibili in base alle attuali esigenze di sussistenza del ricorrente.

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26 Giugno 2019 · Lilla De Angelis

Chiedo: in busta paga compare il bonus di 80 euro (cosiddetto Renzi) e la detrazione per figlio maggiorenne fiscalmente a carico (per il quale verso gli alimenti,come detto) che sono in totale 170 euro. Entrambi le voci partecipano al calcolo del reddito lordo? Non dovrebbero essere scorporati, visto che il bonus delle 80 euro potrebbe scomparire e la detrazione riguarda il figlio? Che succede se oggi vengono conteggiate al fine del calcolo di capienza, e domani il bonus viene abolito e/o non avro’ più diritto alla detrazione del figlio fiscalmente a carico? La quota pignorata rimarrebbe uguale? Se la finanziaria mi blocca contemporaneamente sia il conto dove viene accreditato il solo stipendio e che comunque e’in rosso (fido di 2000 euro usato per intero) che il quinto presso il datore di lavoro, come posso sopravvivere in attesa di pronuncia in udienza del giudice, visto che incombe anche agosto? In pratica, il datore di lavoro accantona il 20% e il resto finisce sul conto bancario collegato, che però rimarrà bloccato da qualsivoglia prelievo fino a pronuncia del Giudice, ovvero per mesi? Cosa si può fare preventivamente affinchè possa prelevare sul mio conto almeno la parte eccedente il 20%? L avvocato della finanziaria, se non gli pago la parcella (e non potrò farlo), potrebbe anche pignorarmi l’auto vecchia e le cose che ho in casa da mia madre dove sono costretto a vivere non avendo altra soluzione?

Il bonus Renzi e le detrazioni per figlio a carico non rientrano nel calcolo della busta paga al netto degli oneri fiscali. Nelle more dello sbocco, in caso di eventuale pignoramento del conto corrente potrà prelevare lo stipendio decurtato della quota pignorata recandosi direttamente in banca o aprendo nuovo rapporto di conto corrente (presso lo stesso o altro istituto) e comunicando tempestivamente le nuove coordinate IBAN al datore di lavoro. Nell’importo pignorato sono comprese anche le spese per l’avvocato del creditore. L’auto vecchia e i mobili usati non li pignorano.

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2 Luglio 2019 · Annapaola Ferri

A ben intendere, in ogni pignoramento tanto dipende dalla discrezionalità del Giudice. Tanto premesso, volevo provare a capire se i miei calcoli sono esatti in vista del pignoramento che dovrò subire .Dunque, in busta paga compaiono le seguenti voci:dipendente pubblico con stipendio di 1400 euro.Ritenute: 270 euro (cessione del quinto), 250 per doppio quinto; assegno alimentare figli: 350 euro, per cui il netto erogato è di 530 euro. Compare la voce di quinto cedibile: 280euro, che penso si riferisca alla quota di 1/5 massima ipotetica. Inoltre, a formare il lordo, :altri assegni+ 80euro(cosidetto bonus Renzi); detrazione figlio:+ 60 euro.Sono attendibili le seguenti ipotesi? Ovvero:
Possibilità 1: stipendio 1400/2 =700 – 270 = 430. Pignoramento max, ovvero 280 euro.
Possibilità 2: stipendio 1400/2 = 700 -270 -350 (assegno alimentare)= 80 quota pignorabile
Possibilità 3 : stipendio 1400/2 = 700 – 270-350-80-60 = nessuna capienza
In quest’ultimo caso, il bonus assegno di 80 euro e la detrazione figlio da 60 euro, vengono esclusi dal lordo in automatico oppure dovrei io rinunciarvi cautelativamente fino a sentenza per poi richiederli eventualmente con il nuovo anno? Inoltre, nella peggiore delle ipotesi, mi ritroverei a percepire 250 euro (considerando cessioni, alimenti e massima quota pignorabile). Però, a quel punto, il datore di lavoro non è tenuto per legge a corrispondermi la metà dello stipendio, rimodulando il rateo del prestito delega di cui è garante?

Oltretutto, già mi sta corrispondendo meno della metà e questo non so se sia regolare e se magari vada opposto nel momento che sarà convocato quale terzo. Spero in una valutazione per quanto esposto.

I calcoli del prelievo in busta paga sono corretti: le considerazioni iniziali no. Applicando le norme vigenti, infatti, il prelievo dallo stipendio è di 280 euro. Punto. Poi il giudice, in base a considerazioni di equità (non discrezionali) potrebbe applicare condizioni di miglior favore al debitore, considerando la ritenuta alla fonte per crediti alimentari (che ripetiamo, non è un pignoramento) equivalente ad un pignoramento. Il datore di lavoro deve adeguarsi alle decisioni del giudice. Il fatto che possa erogare un importo minore della metà dello stipendio netto non è affar suo. Peraltro, il debitore potrebbe ricevere lo stipendio pieno e poi assoggettarsi liberamente ad obbligazioni che impegnino più della metà dello stipendio, con prestiti le cui rate andrebbero comunque pagate, in linea di principio, detraendole dallo stipendio (pieno) accreditato.

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3 Luglio 2019 · Tullio Solinas

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