Diritto di abitazione » Alla morte del padre la madre comproprietaria può far cacciare di casa il figlio che non contribuisce alle spese

Diritto di abitazione: morto il padre, la madre comproprietaria può far cacciare di casa la figlia che non contribuisce alle spese. In questi casi scatta, infatti, l’ordine di rilascio dell'immobile: se è intollerabile la convivenza, il diritto del coniuge superstite prevale sul compossesso della figlia che ha già redditi propri.

Deve, infatti, ritenersi che il coniuge comproprietario dell'immobile, già in regime di comunione legale dei beni con il de cuius, in ragione della maggior quota e soprattutto nella sua veste di titolare del diritto di abitazione ex articolo 540, secondo comma, e dell'uso dei mobili che l’arredano, possa ottenere ex articolo 702 bis Cpc, che sia condannato all'immediato rilascio del bene uno dei figli, autosufficiente economicamente, fino ad allora convivente nella residenza familiare ma senza mai contribuire alla spese per gli oneri gravanti sull’abitazione, data l’intollerabilità della convivenza.

Questo il verdetto del Tribunale di Taranto, pronunciato con la sentenza 2577/13.

Diritto di abitazione: Le fattispecie e le considerazioni sulla sentenza

A mali estremi, estremi rimedi. La madre fa cacciare la figlia di casa perché la convivenza si è fatta intollerabile.

Morto il padre, con cui il coniuge era in regime di comunione legale, la ragazza diventa autonoma sul piano economico: mai, però, la giovane contribuisce alle spese per la casa, di cui pure è comproprietaria insieme con la mamma, che ha la quota maggiore, e con il fratello.

I rapporti familiari sono ormai rovinati ed ecco che il genitore, anche come titolare del diritto di abitazione, riesce a ottenere dal giudice un provvedimento che dispone il rilascio dell'immobile a carico della figlia.

Questo è ciò che si evince dall'interessante pronuncia, emessa di recente dal Tribunale di Taranto, con cui si stabilisce una regola, forse non a tutti conosciuta, nell’ambito dei rapporti tra familiari.

Partiamo dai fatti: muore un uomo che lascia una moglie e un figlio.

Quest’ultimo guadagna stabilmente ed è economicamente autonomo, ma non partecipa alle spese per la casa.

Così la madre chiede al Tribunale il suo allontanamento. È normale?

Per quanto potrà sembrare innaturale e, sicuramente, poco frequente, tutto ciò è possibile.

Vediamo perché.

Alla morte del marito, sui beni di questi si forma una comunione tra gli eredi che, in tal caso, sono madre e figlio.

Entrambi hanno, quindi, pari proprietà anche sull’abitazione familiare.

Tuttavia, la moglie ha qualcosa in più rispetto al figlio: si chiama diritto di abitazione della casa comune. Questo diritto le spetta per legge e prevale sui diritti degli altri contitolari dell’eredità.

In altre parole, la madre può mandare via di casa il figlio, se entra in contrasto con questi e, ovviamente, a condizione che quest’ultimo sia economicamente autonomo.

Pertanto è possibile dire che il diritto di abitazione, sulla casa familiare, del coniuge superstite, prevale sul diritto di comproprietà degli altri eredi e anche sul compossesso sulla casa medesima.

9 Dicembre 2013 · Andrea Ricciardi




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