Carla benvenuto

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Lei era obbligata a presentare la dichiarazione dei redditi avendo percepito un reddito da fabbricato superiore a 500 euro, e non potendo la casa di sua proprietà, ovviamente, considerarsi come abitazione principale.

Quando si redige la dichiarazione dei redditi, vanno anche indicati tutti i soggetti che, potenzialmente, possono essere posti a carico fiscale del dichiarante (lei).

E’ dunque spiegato perchè suo figlio, nell’UNICO sembra essere a suo carico.

Ma, per poter avere effettivamente qualcuno a carico fiscale bisogna percepire un reddito lordo annuo superiore a 2840,51 euro. Dunque, un figlio non può essere posto a carico fiscale di una madre che tale reddito annuo non percepisce (semplicemente perchè non serve a niente).

Ne consegue che anche lei è soggetto a carico, oltre ovviamente a suo figlio.

Se il suo ex-compagno avesse riconosciuto il bambino, quest’ultimo sarebbe risultato a carico del padre (sempre ammesso che il padre avesse percepito un reddito superiore a 2840,51 euro).

Nella situazione attuale (nipote convivente con la nonna, lei a carico di sua madre in quanto non coniugata e non percipiente) sua madre può includere fra i soggetti a proprio carico fiscale sia lei che il nipote.

Non capisco perchè si mostra così piccata. Se la norma non avesse contemplato questa possibilità, nessuno avrebbe potuto fruire delle detrazioni fiscali spettanti per suo figlio. Lei sicuramente no, perchè per il reddito che percepisce non ha alcuna capienza per qualsiasi detrazione.

Il fatto che suo figlio sia a carico fiscale della nonna e non della madre, non ha nulla a che vedere con l’intensità dell’affetto e la portata delle cure amorevoli che una madre può riservare al proprio figlio.

L’impossibilità di non avere a carico fiscale un figlio non è una attestazione di mancato riconoscimento della patria potestà. Qui stiamo parlando solo di una semplice ed impersonale postilla di natura fiscale. Nient’altro.

Quella inerente la giacenza (lasciata all’indomani dal postino) è la seconda raccomandata prevista dalla procedura di notifica.

Con essa la si avverte che la prima raccomandata (quella relativa alla notifica del verbale) non le è stata consegnata per irreperibilità temporanea del destinatario e che, pertanto, il verbale che la riguarda è stato depositato in giacenza presso le poste.

La notifica si intenderà correttamente effettuata al compimento del decimo giorno di giacenza (compiuta giacenza) oppure alla data in cui lei ritirerà il plico presso le poste, se anteriore alla data di compiuta giacenza.

Se il procedimento di notifica è ancora in corso di perfezionamento, non può pretendere di trovare alla posta o nel suo fascicolo presso l’ente che l’ha multata, la copia della ricevuta della seconda raccomandata.

30 Settembre 2011 · Carla Benvenuto

Con la Legge 10/2011 è possibile ottenere una seconda dilazione in caso di mancato pagamento delle rate.

La Legge n. 10/2011, articolo 2, comma 20, ha previsto, infatti, che le dilazioni concesse sino alla data del 27 febbraio 2011, interessate dal mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate, possono essere prorogate per un ulteriore periodo e fino a settantadue mesi a condizione che il debitore comprovi un temporaneo peggioramento della situazione di difficoltà posta a base della concessione della prima dilazione.

A differenza di quanto accadeva prima, dunque, il contribuente non decade più automaticamente dal beneficio della dilazione qualora non paghi la prima rata o successivamente due rate.

L’Agente della riscossione, infatti, può concedere una ulteriore dilazione, su richiesta dello stesso contribuente. È necessario, tuttavia, che il contribuente dimostri il temporaneo peggioramento della propria situazione di difficoltà posta a base della prima richiesta.

Concludo passando alla risposta che chiede. Ammesso che la rateazione le sia stata concessa prima del 27 febbraio 2011 e previa verifica, anche attraverso interpello all’ADE, che le difficoltà che attraversa la sua azienda siano fra quelle contemplate dalla legge, può al massimo interrompere il pagamento delle rate e riprenderlo appena le condizioni di esercizio siano rientrate se non nella normalità, almeno in un contesto migliore di quello attuale. Ovviamente, facendosi carico degli ulteriori interessi da corrispondere.

30 Settembre 2011 · Carla Benvenuto

I problemi sono soltanto quelli relativi al recupero delle somme che lei ha utilizzato tramite le carte di credito e che non ha pagato: è ininfluente che lei si trovi in Italia o all’estero.

Trattasi di contenzioso civilistico in cui i creditori cercheranno di aggredirla sulle sue attività: se non ha nulla di pignorabile non le potranno pignorare niente.

Resterà però segnalata come cattiva debitrice nelle centrale rischi e non riuscirà mai più ad ottenere linee di credito.

30 Settembre 2011 · Carla Benvenuto

Siamo decisamente off topic signora, comunque provo a risponderl: l’’azioni che lei dovrà fare è quella di danno temuto (1172 c.c.) è esperibile in via preventiva al fine di scongiurare la possibilità di un danno. E’ esperibili dal proprietario, dal titolare di un diritto reale di godimento e dal possessore.

Il procedimenti si articola in due fasi: una prima fase cautelare ed urgente, finalizzata a consentire al giudice di adottare i provvedimenti necessari a scongiurare il pericolo di danno; ed una seconda fase, consistente in un normale giudizio di merito, finalizzato ad accertare il fondamento della pretesa.

La denunzia di danno temuto può essere fatta ogni qualvolta si ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del proprio diritto o possesso; l’azione si riferisce quindi al pericolo proveniente da un qualche cosa di già esistente, come per esempio un edificio che minacci di crollare. L’azione non è viceversa ovviamente esperibile nel caso in cui il pericolo sia rappresentato da una persona.

In termini del tutto generali è possibile asserire che l’azione di danno temuto presuppone un non facere, vale a dire l’inosservanza dell’obbligo di rimuovere un pericolo.

Anche in questo caso l’azione presuppone l’illiceità del comportamento in questione, non viceversa il dolo o la colpa del convenuto. In ogni caso è però richiesto che il pericolo interessi direttamente il denunciante e non solo in modo generico i terzi.

Anche in questo caso l’autorità giudiziaria può disporre le necessarie misure cautelari, per ovviare al pericolo, come per esempio l’abbattimento o il transennamento dell’edificio pericolante (art. 1172 c.c.).

La competenza è quella territoriale del Tribunale nel cui circondario ha sede il danno temuto di cui si chiede la rimozione

30 Settembre 2011 · Carla Benvenuto

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