Le dimissioni per giusta causa configurano un’ipotesi particolare di dimissioni del lavoratore subordinato: in questo caso, infatti, il dipendente può recedere dal contratto in tronco, cioè può interrompere il proprio rapporto di lavoro senza obbligo di dare un preavviso al datore di lavoro.
Anzi, con le dimissioni per giusta causa, il lavoratore ha diritto a percepire l’indennità di mancato preavviso (anche con il recesso in tronco), nonché a beneficiare dell’indennità di disoccupazione (NASpI) qualora ne ricorrano i presupposti.
Qualora il datore di lavoro negasse l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiutasse di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni.
Tra i principali motivi che giustificano dimissioni per giusta causa, ricordiamo:
– mancato o ritardato pagamento della retribuzione
– omesso versamento dei contributi (purché non sia stato a lungo tollerato dal lavoratore)
– comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente
– pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore
– mobbing/bossing
– aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro
– modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative
-spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che vi siano “comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive” come richiesto dall’articolo 2103 del codice civile.
Nella fattispecie, bisognerebbe poter dimostrare che il datore di lavoro destina i propri dipendenti al lavoro diurno o notturno, in assenza di particolari motivazioni organizzative e/o di competenza professionale e che, nel corso dell’ultimo triennio, sono state disposti altri passaggi dalla turnazione notturna a quella diurna senza particolari esigenze organizzative.
In assenza di tali prove, molto difficilmente le dimissioni della lavoratrice potranno essere ritenute compatibili con una giusta causa.
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