Purtroppo in Italia funziona così: si dà il codice fiscale del richiedente il prestito in pasto ad un Sistema di Informazione Creditizia (SIC) privato qual è la Centrale Rischi di Informazione Creditizia (CRIF) e si verifica se il soggetto persona fisica corrispondente a qual codice fiscale è presente nell’archivio interrogato.
Nessun riguardo ai motivi per i quali quel soggetto è stato censito nella CRIF: perché a ben guardare se, in riferimento alla fattispecie riportata nel quesito, l’operatore preposto alla valutazione del merito creditizio (o credit score) del richiedente il prestito avesse consultato la motivazione, si sarebbe accorto che si trattava di un prestito dietro cessione del quinto stipendiale e che dunque i ritardi e le morosità censite nella CRIF non potevano essere in alcun modo imputabili al debitore lavoratore dipendente.
Fatta questa premessa, l’unico modo per uscire dalla spiacevole situazione in cui il dipendente debitore è rimasto coinvolto – attesa la superficialità e la disinvoltura del datore di lavoro nel pagare le rate della cessione del quinto non rispettando le scadenze, incurante della reputazione negativa che può derivare dalla presenza dell’azienda in un archivio dei cattivi pagatori – è quello di procedere immediatamente alla richiesta di estinzione del prestito dietro cessione del quinto.
Successivamente, con l’assistenza di un avvocato, potrà valutare la convenienza e l’opportunità di citare in giudizio l’azienda presso cui lavora per ottenere un congruo risarcimento, nell’ipotesi di riuscire a dimostrare documentalmente e/o con testimoni, l’entità del danno subito.
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