La circostanza che l’importo a debito sia irrisorio non costituisce e non può costituire, per il debitore proprietario immobiliare, ancorché privo stipendio e di conto corrente, impunità per una eventuale espropriazione immobiliare.
Se sull’immobile non gravano ipoteche di altri creditori, le spese legali anticipatamente sostenute dal creditore faranno lievitare il credito azionato e quindi ridurranno il residuo spettante al debitore rispetto al ricavato dall’alienazione coattiva.
Senza contare che il creditore può anche limitarsi ad iscrivere ipoteca sul bene immobile di proprietà del debitore per un importo pari al doppio del capitale che gli è dovuto, comprensivo le spese di trascrizione sostenute. Oppure può optare per il pignoramento dei canoni di locazione eventualmente percepiti dal debitore.
Insomma, proprio il fatto che l’avvocato d’ufficio, solo se dimostra di non esser riuscito a soddisfare il proprio credito attraverso procedure di pignoramento nei confronti del cliente inadempiente, verrà successivamente risarcito dallo Stato, dovrebbe indurla a riflettere: rinunciare all’espropriazione immobiliare del debitore inadempiente perché economicamente non conveniente (dal momento che bisogna anticipare altre spese) o perché i tempi per ottenere il rimborso del dovuto si prospettano lunghi, non equivale ad una azione esecutiva infruttuosa esperita nei confronti del debitore inadempiente.
L’articolo 369 bis del Codice di Procedura Penale prevede che il compenso all’avvocato d’ufficio sia dovuto dall’assistito indagato, imputato o condannato.
A riprova, solo quando il difensore dimostri di aver esperito inutilmente le procedure civili ed esecutive per il recupero del credito, l’articolo 116 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 115/2002 (Testo Unico delle Spese di Giustizia) prevede che il compenso sia a carico dello Stato.
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