Carla Benvenuto

Va innanzitutto premesso che un il pignoramento della pensione non è un fatto di cui vergognarsi, specie per un soggetto, come la persona che ci scrive, che solo recentemente è stata assunta a tempo e stipendio pieni e che fino a poco fa ha vissuto vicende come la perdita del lavoro e il collocamento in cassa integrazione guadagni causa covid19. E’ assolutamente normale che in queste condizioni si vada incontro a difficoltà a pagare le retae del prestito.

Tanto premesso, va altresì aggiunto che il pignoramento della pensione del garante (la madre) – obiettivo a cui sicuramente puntava la società creditrice quando ha avviato la richiesta del decreto ingiuntivo (al tempo, cioè in cui chi ci scrive viaggiava fra licenziamenti e cassa integrazione – è soluzione sicuramente meno satisfativa del pignoramento dello stipendio della debitrice principale (la figlia). Infatti, la pensione viene pignorata al 20% della parte eccedente il minimo vitale, mente sullo stipendio netto la trattenuta del quinto viene effettuata senza considerare il minimo vitale.

Ora, se si contatta l’avvocato di controparte (che è la cosa migliore da farsi) proponendogli un piano di rientro, per vincere le eventuali perplessità riguardo l’affidabilità della proposta e la reale possibilità di portare a termine il rimborso del debito, la debitrice già da tempo inadempiente dovrebbe necessariamente riferire di aver ottenuto un nuovo impiego, rischiando così il pignoramento dello stipendio.

In altre parole, si può anche contattare la controparte per proporre un piano di rientro più importante nella rata mensile e di durata più breve del pignoramento della pensione del garante, tuttavia si rischia, così, il pignoramento della pensione della debitrice principale.

Dunque, contattando l’avvocato della MARTE SPV si raggiunge sicuramente l’obiettivo di evitare il pignoramento della pensione della madre, ma non può escludersi il pignoramento dello stipendio della figlia.


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