Michelozzo Marra

Il prelievo dalla busta paga del debitore sottoposto ad azione esecutiva (in pratica, precettato) viene ottenuto dal creditore procedente notificando un atto di pignoramento al datore di lavoro, sulla base della considerazione che quest’ultimo è a sua volta debitore del dipendente sottoposto ad azione esecutiva, dovendogli la retribuzione mensile per la prestazione svolta.

Ora, con il ricorso al Fondo di Integrazione Salariale (FIS) in deroga, (concesso per epidemia da Covid19) il terzo che eroga al dipendente debitore l’importo dovutogli nella forma di retribuzione non è più il datore di lavoro, ma il fondo stesso, nella forma, però, di sostegno al reddito.

In pratica, per poter ottenere qualcosa dall’importo erogato al debitore dal FIS, il creditore procedente dovrebbe notificare l’atto di pignoramento allo stesso FIS, il quale potrebbe cominciare, così, ad accantonare il 20% delle competenze spettanti al debitore sottoposto ad azione esecutiva, in attesa che il giudice assegni al creditore la corretta quota da prelevare ogni mese (sempre che il giudice ritenga ammissibile il pignoramento su un importo che rappresenta una forma di sostegno al reddito e non uno stipendio).

Una procedura difficile da attuare per i tempi, le spese legali necessarie, il poco chiaro quadro normativo, attesa anche la circostanza che non è detto che il ricorso al FIS in deroga possa essere autorizzato dal governo nei prossimi mesi e nella speranza, a tutti comune, che l’emergenza sanitaria abbia al più presto fine.

Nel frattempo, il datore di lavoro comunica al creditore che per il mese di marzo nulla deve al proprio dipendente debitore in quanto, causa forza maggiore, egli non ha effettuato la prestazione contrattualmente prevista. Il che tronca, sul nascere, qualsiasi ipotesi di possibile prelievo dall’importo di integrazione salariale corrisposto al debitore.


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