Annapaola Ferri

Innanzitutto, va detto che la retribuzione mensile che si prende in considerazione per il calcolo della quota pignorabile e la verifica dei limiti di pignorabilità è quella al netto degli oneri fiscali e contributivi, ma al lordo di eventuali cessioni dello stipendio e prestiti delega.

In pratica, se sul conto corrente il datore di lavoro accredita 600 euro ed il dipendente ha in corso una cessione del quinto per 200 euro ed un prestito delega per 200 euro, le percentuali di pignoramento andranno calcolate su mille euro e non su seicento euro.

Banche, privati e finanziarie (i cosiddetti creditori ordinari) possono ottenere un massimo del 20% della retribuzione netta, vale a dire, riferendoci ad una retribuzione di mille euro, una quota di 200 euro. Però, solo il primo creditore procedente di questa categoria potrà accedere al rimborso diretto dallo stipendio. Le altre banche, gli altri privati (non familiari del debitore) e le altre finanziarie potranno ugualmente adire il giudice, ma dovranno attendere che la riscossione coattiva, chiesta ed ottenuta dal creditore più tempestivo ad avviare l’azione giudiziale, abbia portato all’integrale rimborso del debito (capitale, interessi e spese).

Il 20% è anche il limite massimo ammesso per il prelievo dallo stipendio relativamente a debiti verso enti della Pubblica Amministrazione (i creditori esattoriali). Poiché Equitalia può prelevare al massimo il 10% per IRPEF non versata dal debitore, ne deriva che l’agente della riscossione (Equitalia o concessionarie locali) che agisce per tributi locali (TASI, TARI, TARSU, COSAP) può ottenere un altro 10% dallo stipendio netto in contemporanea.

Altri concessionari della riscossione coattiva per la PA dovranno attendere che almeno uno dei due crediti venga integralmente rimborsato prima di poter accedere al prelievo diretto dallo stipendio del debitore.

Per i crediti vantati da genitori, fratelli, coniugi separati o divorziati e figli (creditori alimentari) del debitore obbligato, il prelievo massimo è pari ad 1/3 (Cassazione sentenza 25043/11).

Per uno stipendio netto di mille euro, il coniuge separato, titolare di un assegno di mantenimento non corrisposto dal debitore, potrebbe ottenere fino a 333 euro. Altri eventuali parenti, aventi dritto ad un assegno alimentare rimasto inadempiuto, dovrebbero attendere l’estinzione del credito accumulato dal coniuge separato o divorziato, prima di poter ottenere il rimborso del proprio.

Il condizionale è d’obbligo, perchè in ogni caso le quote pignorate, sommate ad eventuali cessioni del quinto, non possono superare la metà dello stipendio.

Facciamo un esempio: ipotizziamo uno stipendio al netto degli oneri fiscali e contributivi, ed al lordo di una cessione del quinto di 200 euro/mese, pari a mille euro.

Procede il coniuge separato a cui il debitore non ha corrisposto l’assegno di mantenimento. Il giudice potrebbe assegnare alla ex moglie del debitore 333 euro, ma non può farlo, perchè la somma della quota pignorata e della cessione supererebbe i 500 euro. Allora deve assegnare alla ex moglie solo 300 euro. Dopodiché nessun creditore ordinario o esattoriale potrebbe ottenere un cent prima che sia stato integralmente estinto il credito vantato dal creditore alimentare.

Naturalmente, possono aversi più pignoramenti concorrenti sullo stesso stipendio ad opera di tre creditori appartenenti a categorie diverse (creditori ordinari, esattoriali ed alimentari). Ciascuno di essi non potrà ottenere una quota percentuale superiore a quella stabilita per legge o giurisprudenza (20% per creditore ordinario ed esattoriale, 33% per creditore alimentare). La somma delle quote pignorate e di una eventuale cessione del quinto non potrà eccedere la metà dello stipendio netto.

Per ulteriori approfondimenti sui limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni si consulti questa sezione.


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