Oltre il Job Acts – Si può licenziare un lavoratore anche (e solo) per incrementare i profitti aziendali

Per giurisprudenza prevalente, fino a circa un mese fa, la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo si basava sull'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario.

Eventualmente riscontrata la mancanza di prova da parte del datore di lavoro in merito alla necessità di fare fronte a tali esigenze, il giudice riteneva il recesso motivato soltanto dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto, considerando ingiustificato il licenziamento.

In particolare (si veda la sentenza della Corte di cassazione 4146/1991) il giustificato motivo oggettivo di licenziamento può anche consistere nella esigenza sopravvenuta di una riorganizzazione del lavoro attraverso la sostituzione del lavoro del dipendente licenziato con quello personale, non retribuito, dello stesso imprenditore, e nella semplificazione del lavoro mediante l'impiego di una macchina elettronica, per un'apprezzabile riduzione dei costi di impresa; occorre peraltro che l'esigenza di tale riduzione sia imposta da una seria ragione di utile gestione dell'azienda e non di per sé per l'effetto dell'accrescimento del profitto (che da solo sarebbe un motivo personale del datore di lavoro).

Nella stessa pronuncia si osserva che, stante il principio della stabilità del rapporto di lavoro privato a tempo indeterminato, perché un licenziamento per giustificato motivo oggettivo possa ritenersi legittimo, non basta un generico programma di riduzione dei costi, ma occorrono cause che col loro peso si impongano sull'esigenza della stabilità e, come tali, siano serie e non convenientemente eludibili; la persistenza dello stato di floridità dell'impresa potrebbe essere attendibile indice dell'inesistenza di un giustificato motivo obiettivo.

Insomma, fino al 7 dicembre u.s., il presupposto fattuale della sfavorevole situazione economica in cui versa l'azienda, indipendentemente dalle ragioni addotte dall'imprenditore e dalla loro effettività, assurgeva a requisito di legittimità intrinseco al licenziamento per giustificato motivo oggettivo che doveva essere provato dal datore di lavoro ed accertato dal giudice.

Con la sentenza 25201/2016 pubblicata il 7 dicembre, i giudici della Corte di cassazione (sezione Lavoro, Presidente Vincenzo Di Cerbo, consigliere relatore Fabrizio Amendola) hanno aderito al principio di diritto secondo il quale le legittime motivazioni di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo possono derivare anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali ne siano le finalità e quindi comprese quelle dirette al risparmio dei costi o all'incremento dei profitti. Secondo i componenti del Collegio decidente, opinare diversamente significherebbe affermare il principio giuridico, contrastante con quello sancito dall'articolo 41 della Costituzione, per il quale l'organizzazione aziendale, una volta delineata, costituisca un dato non modificabile se non in presenza di un andamento negativo e non anche ai fini di una più proficua configurazione dell'apparato produttivo, del quale il datore di lavoro ha il naturale interesse ad ottimizzare l'efficienza e la competitività.

Per giustificare il duro colpo inferto ai diritti dei lavoratori con la sentenza 25201/2016, i giudici hanno inteso fornire una interpretazione del tutto originale all'articolo 3 della legge 604/1966 che regola le procedure per i licenziamenti individuali. Secondo il Collegio presieduto da Vincenzo Di Cerbo, la normative vigente esclude che per ritenere giustificato il licenziamento per motivo oggettivo debba ricorrere, ai fini dell'integrazione della fattispecie astratta, un presupposto fattuale (che il datore di lavoro debba indefettibilmente provare ed il giudice conseguentemente accertare) identificabile nella sussistenza di situazioni sfavorevoli ovvero di spese notevoli di carattere straordinario, cui
sia necessario fare fronte. Per poter espellere un lavoratore, dunque, è sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente o pregiudizialmente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero anche quelle dirette ad un aumento della redditività d'impresa.

Non è quindi necessario, per legittimare il licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo che si debba fronteggiare un andamento economico negativo o spese straordinarie e non appare pertanto immeritevole di considerazione l'obiettivo aziendale di salvaguardare la competitività nel settore nel quale si svolge l'attività dell'impresa attraverso le modalità, e quindi la combinazione dei fattori della produzione, ritenute più opportune dal soggetto che ne assume la responsabilità anche in termini di rischio e di conseguenze patrimoniali pregiudizievoli.

31 Dicembre 2016 · Tullio Solinas





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