Dopo un decreto ingiuntivo, emesso nel 2001 a favore mio e di miei altri 4 colleghi dal Giudice del lavoro, il debitore (ente locale) ha proposto ricorso in appello.
Dopo varie rimesse nei termini per motivi attribuibili alla controparte opponente, il giudice nel 2006 dichiara inammissibile il ricorso e dispone la definitiva idoneità all’esecuzione forzata del Decreto ingiuntivo con condanna dell’opponente alle spese legali.
La controparte opponente però eccepisce nel dispositivo ultimo del giudice un vizio di forma circa la data di notificazione del ricorso da cui è scaturita la inammissibilità del ricorso stesso, riproponendo quindi la riammissione nei termini per il ricorso in appello, senza tuttavia dare corso all’esecutività.
A tutt’oggi (Giugno 2012) abbiamo avuto solo rinvii delle udienze. Il nostro avvocato si oppone alla procedura dell’esecuzione forzata prima della sentenza definitiva della Corte di Appello perchè, secondo lui, potremmo incorrere in una futura restituzione della somma riscossa, in seguito alla eventuale sorte negativa del caso con l’aggravio degli interessi maturati nel tempo.
E’ Giusto aspettare? Possibile che il giudice abbia sbagliato il calcolo delle date? Oppure è la conseguente decisione dopo le varie possibilità date dal giudice all’opponente di riammissione nei termini?
Mi limito a rispondere alla prima domanda, perchè non ho elementi per affrontare la questione della remissione in termini.
In situazioni simili, anche io preferisco consigliare ai miei clienti, come ha fatto il suo avvocato, una strategia processuale improntata alla prudenza.
Passare da escussore ad escusso non è un’esperienza piacevole.
12 Giugno 2012 · Loredana Pavolini
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