DOMANDA
E’ arrivato un atto di precetto da parte di Vorwerk Folletto per totali 700 euro a mia moglie che sottoscrisse il contratto: sul precetto c’è anche il mio cognome però solo quello senza il nome perché all’epoca il venditore volle sapere da mia moglie il cognome da sposata, io non firmai nulla e nessun mio documento fu dato anche perché ero assente.
Preciso che vorrei contattarli per un accordo, ma mi chiedo se non dovessero accettare, mia moglie è disoccupata, siamo sposati in regime di separazione dei beni, il fatto che compaia il mio solo cognome può crearmi problemi?
RISPOSTA
L’articolo 177 del codice civile stabilisce che costituiscono oggetto della comunione dei beni gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali.
Il Folletto, tuttavia, non è un bene personale, ma può essere considerato, senza alcun dubbio, un bene destinato a soddisfare le esigenze della famiglia.
L’articolo 190 del codice civile, sempre in riferimento al regime patrimoniale legale di comunione dei beni fra coniugi, stabilisce che i creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi (ad esempio i proventi dell’attività professionale di ciascuno di essi), nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non siano sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti.
La Corte di cassazione (sentenza 3471/2007) ha stabilito che, in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, il creditore che ha contrattato con uno solo dei coniugi può invocare il principio dell’apparenza del diritto, al fine di sostenere il suo ragionevole affidamento sul fatto che questi agisse anche in nome e per conto dell’altro coniuge, solo qualora si verifichino le seguenti condizioni: a) uno stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto; b) il ragionevole convincimento del contraente, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchiasse la realtà giuridica.
Ne consegue che, per poter invocare il principio dell’apparenza del diritto, il terzo deve comunque provare la propria buona fede e la ragionevolezza dell’affidamento, non essendo invocabile il principio in questione da chi versi in colpa per aver omesso di accertare, in contrasto con la stessa legge oltre che con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose.
In parole povere, per poter coinvolgere nell’obbligazione l’altro coniuge in separazione dei beni, che non ha sottoscritto il contratto di acquisto, il terzo creditore dovrebbe dimostrare (ex articolo 164 del codice civile) di essere stato ingannato dal coniuge sottoscrittore (che avrebbe simulato di aver adottato, con il matrimonio, un regime patrimoniale di comunione dei beni). E che per tale motivo egli (il terzo creditore) non ha proceduto con il doveroso accertamento presso l’anagrafe comunale al fine di ottenere un estratto dell’atto di matrimonio sul quale, come sappiamo, viene annotata a margine la scelta operata dai coniugi circa il regime patrimoniale, di comunione o separazione, adottato.
In pratica, per poter agire, nella fattispecie, con azione esecutiva nei confronti del marito, il terzo creditore (Vorwerk Folletto) dovrebbe dimostrare che il proprio rivenditore porta a porta sia stato vittima di una simulazione della convenzione matrimoniale dei coniugi orchestrata dalla moglie, e per questo, di aver accettato di trattare, senza effettuare i doverosi ulteriori accertamenti, con un soggetto privo di capacità autonoma di rimborso, in quanto fattualmente casalinga, consegnandogli l’elettrodomestico.
Insomma, direi che, anche considerando che il precetto (con il cognome del marito, oltre alle generalità della consorte) è un atto proveniente esclusivamente dal creditore, e non dal giudice – che si limita ad emettere il decreto ingiuntivo – il creditore potrebbe ben accontentarsi di un accordo stragiudiziale a saldo stralcio (con rilevante riduzione dell’importo precettato) offerto dal volenteroso marito dell’effettiva debitrice.
1 Marzo 2020 - Ludmilla Karadzic