Se il debitore ammette l’esistenza del debito al creditore cedente, la società di recupero crediti cessionaria non può avvalersi di tale ammissione ma deve provarne comunque l’esistenza

Qualora il creditore, nei cui confronti il debitore abbia ammesso stragiudizialmente l’esistenza del credito (ad esempio con una scrittura privata oppure tramite uno scambio epistolare finalizzato alla ricerca di un accordo sui tempi di rimborso) ceda il credito ad un terzo (tipicamente una società di recupero crediti) quest’ultimo, benché divenuto cessionario (pro solvendo o pro soluto che sia) del credito, non fruisce della valenza di prova legale di tale confessione stragiudiziale, non verificandosi, per espressa volontà del legislatore, alcuna traslazione degli effetti giuridici della confessione come prova vincolante a chi di quest’ultima intende avvalersi.

Qualora, dunque, il cessionario la invochi nei confronti del ceduto, competerà al libero convincimento del giudice di merito, chiamato ad emettere decreto ingiuntivo nei confronti del debitore, valutare quale incidenza essa effettivamente rivesta, e ciò anche, eventualmente, fino al ritenerla pienamente probante, ipotesi in cui, peraltro, il convincimento deve essere legittimato con un'adeguata motivazione, che consenta di comprendere sulla base di quali specifiche ragioni sia emerso, nel caso concreto, un siffatto peso probatorio nella confessione stragiudiziale resa dal ceduto al cedente.

Questo l'orientamento giuridico riversato, nero su bianco, nella sentenza della Corte di cassazione 6140/2017.

22 Aprile 2017 · Rosaria Proietti