Ludmilla Karadzic

La vita coniugale, in separazione o in comunione dei beni, non potrà riservare amare sorprese al coniuge, ferma l’ipotesi che lei non contrarrà, dopo il matrimonio, debiti di alcun genere.

Pochi sanno che anche in separazione dei beni i debiti di un coniuge possono essere escussi intervenendo sul patrimonio dell’altro, laddove il creditore riesca a dimostrare che le obbligazioni sono state assunte nell’interesse della famiglia.  Stiamo parlando, è superfluo sottolinearlo, di debiti datati in epoca successiva alla celebrazione del matrimonio.

L’unica vera ed effettiva conseguenza indesiderata, dunque,  sta nella possibilità di un pignoramento nella residenza del debitore. In questo caso, infatti, vige la presunzione che tutti i beni rinvenibili nella residenza del debitore siano di sua esclusiva proprietà. E’ onere del terzo (il suo futuro marito) dimostrare che l’ipotesi formulata nei termini appena descritti è completamente sballata. E ciò si può fare se tutte le fatture di acquisto dei beni pignorabili da sistemare nella futura dimora coniugale saranno conservati con cura ed intestati, naturalmente, al suo futuro marito.

Più problematico appare l’aspetto della futura eredità paterna. In caso di premorienza della madre i figli non subiranno riduzioni dell’eredità. Qualora invece il coniuge superstite fosse la madre, la presenza di beni immobili nella massa ereditaria sarebbe difficile da gestire. La tanto spesso richiamata possibilità di rinunciare all’eredità servirebbe a poco, stante la rappresentanza dei figli. E, sui figli eredi i creditori potrebbero rivalersi, se non avranno proceduto prima ad impugnare l’eventuale rinuncia della genitrice.

Pertanto, e veniamo al dunque: niente matrimonio, oppure nessun bene immobile da trasmettere con l’eredità alla prole.


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