Loredana Pavolini

Credo sia necessario chiarire un aspetto: il destinatario non può stare tranquillo quando arriva un accertamento fiscale fuori tempo massimo (e si parla propriamente di decadenza, non di prescrizione) così come quando riceve una cartella esattoriale che esige un credito risalente a venti anni fa (siamo qui nell’ambito della prescrizione e nella presunzione che da allora ad oggi non siano state notificate al destinatario comunicazioni interruttive dei termini, anche per compiuta giacenza).

Per far valere la decadenza o la prescrizione egli (o chi per lui) deve recarsi negli uffici del creditore e presentare un ricorso in autotutela.

Ora, se il ricorso in autotutela viene accolto, il destinatario dell’atto prescritto o decaduto può stare tranquillo. Se, invece, il ricorso in autotutela viene respinto dal creditore, oppure, se il destinatario dell’atto prescritto o decaduto vede l’avvicinarsi dei 60 giorni utili per impugnare l’atto stesso innanzi al giudice terzo competente e non perviene alcuna risposta del creditore circa l’esito dell’istanza in autotutela, il destinatario dell’atto prescritto o decaduto deve prendere una decisione.

Procedere formalmente, o meno, con l’impugnazione dell’atto, con tutto quello che ciò comporta (spese e tempo perso) oppure pagare.

Evidentemente, nel caso della cartella di 28 euro è chiaro che andava, per comune buon senso, seguita la seconda opzione. Ma, è necessario precisarlo, il semplice mancato pagamento, anche in caso di conclamata prescrizione della pretesa, avrebbe comportato altri problemi in futuro.

La cosa non sarebbe finita semplicemente non pagando: la macchina burocratica, ed in specie quella dell’amministrazione finanziaria, ha la memoria dell’elefante.

Se arriveranno avvisi di accertamento anche dopo i termini di decadenza, il suggerimento è di attivarsi, come si dice in gergo, e non rimanere inerti.


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