La rinuncia all’eredità può essere presentata dal chiamato entro dieci anni dal decesso del de cuius: secondo l’articolo 485 del codice civile, il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dal giorno del decesso del de cuius. Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.
La dichiarazione di rinuncia risulterà inefficace, naturalmente, se l’erede ha già accettato l’eredità oppure ha compiuto atti che presuppongono, inequivocabilmente, la sua volontà di accettare (voltura catastale del bene ereditato ancora appartenente al defunto, voltura delle utenze domestiche in qualità di erede, pagamento da parte del chiamato dei debiti ereditari con denaro dell’eredità, presentazione della domanda giudiziale di divisione ereditaria, eccetera): infatti, una volta diventati eredi, si è eredi per sempre, ovvero l’accettazione dell’eredità, esplicita o tacita, è irrevocabile.
Quindi credo ci siano i presupposti (ammesso che nel frattempo l’erede non abbia accettato esplicitamente o tacitamente), per poter rinunciare all’eredità del nonno ed in questo modo rendere più difficoltosa l’espropriazione dell’intero immobile detenuto, per un quarto, da un comproprietario non debitore.
Tuttavia, la circostanza che l’intero immobile fosse in comunione con la nonna, potrebbe mettere in discussione anche la legittimità del lascito della nonna (a meno che non siano già passati dieci anni dal decesso della nonna): l’espropriazione dell’intero immobile, in effetti, dovrebbe servire a soddisfare, fino a capienza, i debiti del nonno
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