Giovanni Napoletano

Staccare il contacalorie di casa per risparmiare sulla bolletta è l’ultima frontiera dei cosiddetti furbetti dei termosifoni.

Il contabilizzatore di calore, questo il suo nome tecnico, è un piccolo dispositivo che, applicato sulla superficie del radiatore, riesce a registrare il reale consumo energetico e quindi consente all’unità immobiliare collegata a un impianto centralizzato di pagare esclusivamente la quantità di energia utilizzata.

Questo strumento, pertanto, viene usato per favorire la rendicontazione dei consumi laddove vi siano impianti di riscaldamento condivisi come ad esempio quelli dei condomini.

E proprio per i sistemi centralizzati il suo utilizzo è stato imposto dal decreto legislativo 102/2014.

Il dispositivo utilizza delle sonde interne che registrano il calore emesso dai termosifoni, quantificando dunque il consumo di energia di ognuno di essi. Tutti i dati raccolti nell’attività di controllo vengono poi inviati a una centralina e successivamente elaborati da società esterne autorizzate.

I consumi reali vengono contabilizzati solo dopo una verifica tecnica.

Il proprietario di casa, quindi, non ha alcuna facoltà di intervenire nella modifica dei parametri impostati dal dispositivo al momento dell’installazione, per cui l’unico modo di risparmiare in modo fraudolento è quello di rimuoverlo.

Per i furbetti dei termosifoni ci sono tuttavia delle conseguenze.

Il condomino che nella sua abitazione rimuove il contacalorie rende impossibile una corretta ripartizione delle spese.

Nel caso in cui non fosse possibile risalire ai reali consumi, talvolta il condominio può intervenire effettuando l’addebito dell’anno precedente o ricorrendo al metodo dei millesimi.

Tuttavia per i trasgressori possono esserci anche conseguenze penali.

Si potrebbe ipotizzare, quantomeno sotto il profilo del tentativo, il reato di furto previsto dell’art.624 del codice penale, che sanziona con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da € 164 a € 516 ‘chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto.

E questo per il fatto che al comma due l’articolo citato considera “cosa mobile” ogni tipo di energia che abbia valore economico.

Nel caso in cui lo strumento venisse rotto di proposito invece, “potrebbe essere contestata la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 625 codice penale, che comporta un aumento di pena da 2 a 6 anni e la multa da € 927 a € 1.500”.

La verifica è in genere affidata all’amministratore del condominio o a una persona da lui delegata. L’assemblea può comunque ottenere giustizia, “quale persona offesa” con”l’eventuale querela a carico del condomino.

Nel caso di reato aggravato sarà sufficiente la denuncia da parte dell’amministratore essendo il reato perseguibile d’ufficio.


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