Annapaola Ferri

Per poter aver diritto al reddito di cittadinanza le dimissioni del lavoratore dipendente devono essere motivate da una giusta causa: inoltre, le dimissioni non si chiedono, ma si presentano.

Le causali di dimissioni per giusta causa individuate, ad oggi, dalla giurisprudenza sono:

– mancato o ritardato pagamento della retribuzione
– omesso versamento dei contributi (purché non sia stato a lungo tollerato dal lavoratore)
– comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente
– pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore
– mobbing
– aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro
– modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative
– spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che vi siano comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive come richiesto dall’articolo 2103 del codice civile.

La procedura di dimissioni per giusta causa può essere attivata autonomamente da un lavoratore oppure con l’assistenza di un patronato o di un’organizzazione sindacale.

Il datore di lavoro potrebbe tuttavia opporsi, contestando la giusta causa: in questo scenario, la vertenza dovrebbe necessariamente essere portata, con la citazione della controparte datoriale, all’esame del giudice del lavoro competente.

Una sentenza avversa al lavoratore dimessosi per motivi ritenuti costituire una giusta causa, una volta passata in giudicato, potrebbe comportare l’obbligo alla restituzione di tutti i benefici statali fruiti nel frattempo in seguito alla presunta classificazione unilaterale delle dimissioni presentate per giusta causa ma non giudicate tali in sede giurisdizionale.


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