Giovanni Napoletano

Mai più rate fiume di 24 o 48 mesi per prodotti abbinati al contratto di internet e telefonia: banda larga servizio universale, disponibile a tutti e a costi accessibili.

Sono probabilmente queste le novità più importanti, per i consumatori, contenute nel decreto legislativo che recepisce il nuovo codice europeo di comunicazioni elettroniche.

Il testo sta per arrivare alle commissioni competenti del Parlamento, per un parere, prima dell’approvazione finale (con eventuali modifiche) da parte dell’Aula.

A quanto risulta, il termine del parere è stato spostato a novembre (da settembre) proprio per via della vasta portata delle novità.

Si tratta comunque di un testo atteso da anni, ritardato anche dal Covid, e sul cui recepimento l’Italia è in sostanziale ritardo.

Gli operatori telefonici non l’hanno presa affatto bene: segnalano un impatto fortemente negativo sui loro conti, con conseguenze negative su occupazione e sugli stessi consumatori.

Sono critici soprattutto verso il taglio delle rate.

Adesso gli operatori possono avere rate – per un modem o un cellulare inclusi nel contratto – anche di 48 mesi. Il nuovo codice pone il limite a 12 mesi, per favorire la concorrenza, ossia il cambio operatore. Se si disdice prima della fine del contratto, infatti (prima di 48 mesi, in quel caso), l’operatore chiede di continuare a pagarne le rate.

Ci sono anche offerte che nascondono le rate (del modem) all’interno del canone, cosicché l’utente di fatto le paga solo dopo la disdetta.

Gli operatori hanno già fatto notare al Governo che rate da 24 o 48 mesi permettono di avere importi mensili più piccoli (perché spalmati su un periodo maggiore). La novità sarebbe quindi contro gli interessi diretti dei consumatori, oltre che contro gli operatori, certo svantaggiati da un maggiore turn over dei clienti.

Gli operatori hanno fatto anche notare che il codice europeo pone il limite a 24 mesi, quindi l’Italia è stata più severa.

Un’altra novità è rendere la banda larga un servizio universale, ossia attivabili da tutti e a costi accessibili. Per ora è servizio universale solo la telefonia fissa voce con velocità 56K.

Se ne parla da 20 anni, ma ora c’è un decreto che fissa questo principio, demandando all’Autorità Garante delle Comunicazioni il compito di stabilire come fare e come gestire i costi (che eventualmente andranno ripartiti su tutti gli operatori).

Di fatto si tratterà di obbligarne uno (finora è stato Tim a occuparsi del servizio universale) a coprire tutti con un servizio banda larga e a dare tariffe ridotte agli utenti in condizione economica svantaggiata.

Agcom stabilirà anche le caratteristiche tecniche del servizio (i tempi non sono noti); il decreto indica che le prestazioni devono essere adeguate a supportare undici servizi: email, motori di ricerca, strumenti online di istruzione e formazione, notizie online, ecommerce, strumenti di ricerca lavoro, reti professionali, ebanking, servizi di PA digitale, social media e chat, videochiamate a qualità standard (non HD insomma).

Allo stato serve almeno un’Adsl di qualità media per quei servizi; banda larga, appunto, non “banda ultra larga”.

Secondo dati Agcom, meno dell’1 per cento della popolazione può avere quel livello di servizio. Alcune centinaia di migliaia di persone che si trovano spesso in piccoli comuni montani che rischiano così lo spopolamento.

Bisognerà vedere come si incastrerà il nuovo obbligo universale con il piano banda ultra larga che dovrebbe dare a tutti gli utenti almeno 30 Megabit (quindi meglio di un’Adsl) entro il 2023 (termine spostato rispetto al 2020, target originario del piano). Di certo è nuova, rispetto al piano, l’indicazione di avere tariffe avvantaggiate per alcune categorie di persone.

Il decreto rivede al rialzo anche i costi di licenza per lo spettro (per i servizi mobili e fisso-mobili) e le sanzioni che Agcom può erogare. Le associazioni dei consumatori da anni sostengono che Agcom ha le armi spuntate, con sanzioni troppo ridotte. Il decreto le aumenta di tanto (le quadruplica, fino al 5 per cento del fatturato dell’operatore).

Alcuni operatori hanno fatto sapere al Governo che ne verrà un aumento delle tariffe e una riduzione della forza lavoro dell’8 per cento tra il 2022 e il 2024; già nel 2010-2020 gli occupati della filiera sono calati del 20 per cento per la contrazione dei profitti.


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