Andrea Ricciardi

Sono state annullate le maxi sanzioni per complessivi 228 milioni di euro inflitte nel gennaio 2020 dall’Antitrust a Fastweb, Tim, Vodafone e WindTre per un’intesa anticoncorrenziale relativa al repricing effettuato nel ritorno alla fatturazione mensile.

Lo ha deciso il Tar del Lazio con quattro sentenze con le quali ha accolto i ricorsi proposti dalle compagnie telefoniche per contestare il provvedimento con il quale l’11 aprile 2018 l’Autorità confermò le misure cautelari provvisorie adottate il mese prima, fino ad arrivare al provvedimento del 28 gennaio 2020 con il quale fu accertata l’intesa restrittiva e inflitte le sanzioni.

Complessi i fatti giunti al vaglio dei giudici e ricostruiti nelle sentenze. Per capire i contorni della vicenda occorre tornare indietro al 2015. Il periodo di rinnovo delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile viene portato da cadenza mensile a 28 giorni ad agosto 2015 da Tim, a novembre 2015 da Wind, a marzo 2016 da Vodafone e ad aprile 2017 da Fastweb

Le polveri finiscono però per accendersi per le tariffe sul fisso e non sul mobile. Agcom interviene per prima nel marzo 2017 con la delibera 121 in cui viene stabilita l’obbligatorietà della fatturazione mensile per i servizi sul fisso e ibridi (salvo il mobile).

La delibera dava 90 giorni per mettersi in regola, passati invano.

Si va avanti a colpi di delibere e ricorsi. Ma intanto la legge 172/2017 ha obbligato alla fatturazione su base mensile – a partire da aprile 2018 – nelle tlc, ma anche per le pay tv. E il Consiglio di Stato di luglio 2019 ha chiuso il capitolo rimborsi, a favore dei consumatori, prevedendo meccanismi di restituzione automatica, senza necessità di avanzare richieste.

Nel frattempo Antitrust ha sanzionato per 228 milioni di euro complessivi le 4 compagnie, con l’accusa mossa dall’Autorità di aver fatto cartello nella fase di ritorno alle fatturazioni mensili mantenendo inalterato l’aumento dell’8,6% – una “13esima mensilità” (visto che con le 52 settimane in un anno i rinnovi passavano da 12 a 13) – risultante dall’aver ridotto da mensile a 28 giorni la fatturazione.

Il provvedimento sanzionatorio ha previsto 14.756.250 euro di multa a Fastweb; 114.398.325 euro a Telecom; 59.970.351 euro a Vodafone e 38.973.750 euro a Wind. Tutte contestate al Tar.

La delibera impugnata – si legge in una delle sentenze – presenta un primo profilo di illogicità e di evidente difetto di istruttoria laddove desume e valorizza la asserita segretezza dall’intesa esclusivamente sulla base di un documento» che è «del tutto inutilizzabile, essendo esterno al perimetro temporale di svolgimento della presunta pratica concordata, così come definito dalla stessa Autorità: di talché la segretezza dell’intesa risulta del tutto indimostrata.

A parere del Tar, le considerazioni raccolte «al più, deporrebbero per l’individuazione di una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo, i cui effetti lesivi si manifestano a danno dei consumatori ma che non sono idonee a sostenere l’esistenza di una pratica concordata fra gli operatori per mantenere fermo l’aumento al preciso scopo di evitare la fuoriuscita di clienti verso la concorrenza».

In sostanza, mancano nel Provvedimento elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro; mentre al contrario è stata fornita «una spiegazione plausibile dei ricostruiti incontri e scambi di informazioni, alternativa a quella ricostruita dall’Agcm.

Quanto alla decisione dell’Autorità guidata oggi da Roberto Rustichelli di ritenere sussistente un’intesa sul riproporzionamento dell’8,6%, viene sostanzialmente ritenuta in contraddizione con il parere reso da Agcom. In particolare, il Tar afferma che «il Regolatore, nella sostanza, quale primo punto ha sconfessato l’esistenza di quello che è stato ritenuto dall’Agcm il “punto focale”, ossia il repricing.

Inoltre, l’Agcom ha sconfessato la tesi per cui il fattore prezzo, da solo, rappresenterebbe la variabile sulla base della quale i consumatori sono indotti alla migrazione: così facendo, a ben vedere, il Regolatore ha smontato la asserita finalità anticoncorrenziale dell’intesa, come declinata dall’Agcm».

E ancora, il Tar ha rilevato che l’Agcom «sulla base di dati oggettivi e storici, ha destrutturato anche la tesi secondo cui i contatti fra gli operatori fossero necessariamente finalizzati ad una concertazione anticoncorrenziale, così sposando in pieno quella che è stata l’argomentazione difensiva delle parti, ossia che si trattasse di confronti necessitati dall’obbligo di adeguamento alla novella normativa e dai dubbi interpretativi sulle modalità dello stesso.


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