Simonetta Folliero

La fattispecie del conto corrente cointestato a più persone è regolata dall’articolo 1854 del codice civile ai sensi del quale nel caso in cui il conto corrente sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto. L’applicazione della disciplina dei rapporti interni nelle obbligazioni solidali comporta non solo che, in mancanza di prova contraria, le parti si presumono uguali e che il concreditore, nei rapporti interni, non può disporre oltre il 50% delle somme risultanti da rapporti bancari solidali, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, ma anche che, ove risulti provato che il saldo attivo di un rapporto bancario cointestato discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto dei cointestatari, si deve escludere che l’altro cointestatario, nei rapporti interni, possa avanzare diritti sul saldo medesimo.

Tuttavia, indipendentemente dal soggetto cointestatario al quale siano riconducibili le somme versate nel conto corrente cointestato, la giurisprudenza di legittimità (ultima l’ordinanza 7862/2021 citata dal lettore) si è più volte pronunciata, affermando il principio secondo cui nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del rapporto di conto corrente e l’adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare

Resta comunque inteso che gli eredi del contitolare premorto potrebbero, poi, agire in via di regresso per la restituzione delle loro quote della parte spettante al de cuius, anche dimostrando che all’altro cointestatario non spetta nemmeno un centesimo di quanto disponibile in conto corrente.

Fatta questa piccola digressione, va però rilevato che sulle regole desumibili dalle richiamate disposizioni del codice civile e della giurisprudenza consolidata incide, peraltro, la disciplina speciale, in tema di imposta sulle successioni e sulle donazioni. In particolare, ai sensi dell’articolo 48, comma 4, del decreto legislativo 346/1990 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), le aziende e gli istituti di credito, le società e gli enti che emettono azioni, obbligazioni, cartelle, certificati ed altri titoli di qualsiasi specie, anche provvisori, non possono provvedere ad alcuna annotazione nelle loro scritture né ad alcuna operazione concernente i titoli trasferiti per causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di cui all’articolo 27, comma 4, della dichiarazione della successione o integrativa con l’indicazione dei suddetti titoli, o dell’intervenuto accertamento in rettifica o d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi era obbligo di presentare la dichiarazione”. Al riguardo, il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, nella decisione 5305/2013 ha chiarito che “la richiamata disposizione […] non incide sul profilo relativo alla legittimazione dei cointestatari, che resta regolata dalle disposizioni del codice civile; essa, peraltro, impone un adempimento che può essere qualificato alla stregua di un vero e proprio vincolo di indisponibilità della somma. Da ciò deriva che la presentazione della denuncia di successione da parte degli eredi, ovvero della cosiddetta dichiarazione negativa di cui all’articolo 28 del medesimo testo unico, costituisce una condizione senza la quale il debitore (la banca) può legittimamente opporre il mancato pagamento nei confronti del creditore (il correntista superstite), pur legittimato ad esigere la liquidazione della intera somma portata dal conto corrente.

Tenuto conto di ciò, la permanenza della legittimazione in capo ai cointestatari nonostante la morte di uno di essi, dunque, è vicenda che attiene esclusivamente al rapporto negoziale fra le parti, che non può pregiudicare le posizioni dei terzi, quale in questo caso, deve essere considerata l’Amministrazione finanziaria (l’Agenzia delle Entrate). Tanto più se i diritti dei terzi siano riconosciuti da una disposizione avente natura imperativa, qual è certamente quella in materia tributaria.

In poche parole per poter prelevare l’intero saldo di conto corrente il cointestatario superstite deve presentare la dichiarazione di successione oppure la dichiarazione di esonero (articolo 28, comma 7 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito o TUIR, decreto legislativo 346/1990) dal pagamento delle imposte di successione, cosa che lei ha fatto). In altre parole, il cointestatario superstite deve dichiarare alla banca, sotto la propria responsabilità penale e civile, che non ci sono imposte di successione da pagare.

Ma qui, a nostro parere, casca l’asino, nel senso che si potrebbe spiegare il diniego della banca a prendere atto della sua dichiarazione di esonero dl pagamento dell’imposta.

A nostro parere, infatti, potrebbero non sussistere i presupposti previsti per la dichiarazione di esonero, dal momento che il cointestatario deceduto, come probabilmente risulta dal certificato di famiglia storico sicuramente richiesto all’anagrafe dalla banca, potrebbe risultare avere dei fratelli e sorelle germani ancora vivi o nipoti; ed essi, eventualmente, concorrerebbero con il coniuge alla successione del de cuius, essendo quest’ultimo deceduto senza figli e senza fare testamento.

Infatti, ai sensi dell’articolo 28, comma 7, del decreto legislativo 346/90, l’esenzione dall’ obbligo di dichiarazione presuppone, fra l’altro, che l’eredità sia devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto.

Se così fosse, i conti tornerebbero sul silenzio e il perdurante diniego della banca a metterle a disposizione l’intero saldo di conto corrente. Su questo aspetto le chiediamo un cortese segno di riscontro o al limite, di dissenso. Si tratta dell’accertamento di una situazione discriminante circa la fattibilità di un ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario.

Per concludere il cointestatario superstite legittimario può prelevare l’intero saldo disponibile dal conto corrente cointestato con il cointestatario premorto, esibendo una semplice dichiarazione di esonero dall’obbligo di presentare la dichiarazione di successione se è un erede in linea retta del de cuius (figlio/a, nipote, oppure coniuge superstite con l’ulteriore condizione che il coniuge premorto non avesse fratelli o sorelle superstiti o nipoti ancora in vita), se il residuo 50% risulta di importo inferiore ai 100 mila euro e se nell’eredità non figurano altri beni immobili.

Ricordiamo, infatti, che sono esonerati dall’obbligo di dichiarazione – quando l’eredità è devoluta esclusivamente ai parenti in linea retta del defunto – il coniuge e i parenti in linea retta del defunto, se l’attivo ereditario non supera il valore di 100 mila euro euro e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari. Nel caso specifico, tuttavia, potrebbero esistere parenti collaterali della defunta (fratelli e sorelle o nipoti figli di fratelli e sorelle).

Per evitare tutto l’ambaradam, il cointestatario superstite, prima che alla banca arrivi la notizia del decesso del cointestatario premorto (o prima che un coerede del cointestatario premorto trasmetta alla banca la diffida a qualsiasi prelievo fino al perfezionamento della successione ereditaria), deve prelevare in contanti allo sportello con assegno, oppure disporre un bonifico ad esecuzione immediata.

E’ effettivamente così: mia moglie ha una sorella ancora in vita. Grazie per la delucidazione, Mino

Grazie a lei per l’immediato riscontro.


Per visualizzare l'intera discussione, completa di domanda e risposta, clicca qui.