Gennaro Andele

Chi decide di interrompere un rapporto di lavoro non può beneficiare del sostegno economico del reddito di cittadinanza per un anno: a stabilirlo è l’articolo 2 del DL numero 4 del 2019 che, nel suo iter di conversione in legge, ha ristretto il divieto di accesso al sostegno economico solo al componente del nucleo familiare disoccupato in seguito a dimissioni volontarie.

E ha dato il via libera al resto del nucleo familiare, concedendogli però una somma più ristretta perché risulta composto da una persona in meno.

Il reddito di cittadinanza è un sostegno economico che viene riconosciuto ai nuclei familiari e non ai singoli individui che lo compongono.

Per questo motivo le regole di accesso e il meccanismo per calcolare l’importo a cui si ha diritto tengono conto delle specificità che lo caratterizzano, a partire dal numero di persone che lo compongono.

Il punto dell’articolo 2 delle Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni dedicato ai soggetti disoccupati in seguito a dimissioni volontarie, nell’iter di conversione in legge, ha subito delle modifiche che hanno ammorbidito le regole di accesso al beneficio.

Nella prima stesura la legge escludeva totalmente, insieme al nucleo familiare, chi aveva consegnato al datore di lavoro dimissioni volontarie per un anno.

Ad esempio, in una famiglia composta da tre persone, se uno dei componenti aveva scelto di lasciare il lavoro, nessuno dei tre poteva ricevere l’assegno.

Con la conversione in legge del DL numero 4 del 2019, la regola è diventata meno rigida.

Nel testo si legge:“Non ha diritto al Rdc il componente del nucleo familiare disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa”.

Secondo la norma in vigore, soltanto il componente che ha scelto di lasciare il lavoro è escluso dal reddito di cittadinanza.

E non più tutta la famiglia: gli altri, infatti, possono richiedere e ottenere l’assegno, l’unica differenza è che riceveranno un importo più basso.

A illustrare le regole da applicare ai nuclei familiari composti anche da un soggetto che ha consegnato le dimissioni volontarie è la circolare INPS numero 100 del 5 luglio 2019, che fa luce su tutte le novità inserite nella conversione in legge del Decreto.

Nella comunicazione diffusa dall’INPS si legge: “A seguito delle modifiche introdotte con la legge di conversione n. 26/2019, è venuta meno inoltre l’esclusione dal Rdc, prevista dal decreto-legge prima della conversione, per i nuclei familiari che abbiano tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie, con riferimento ai dodici mesi successivi alla data delle dimissioni e fatte salve le dimissioni per giusta causa.

La legge di conversione, infatti, limita l’esclusione al solo componente disoccupato che abbia presentato le dimissioni volontarie, riducendo nella misura di 0,4 punti il parametro della scala di equivalenza ai fini del reddito di cittadinanza”.

In altre parole, la famiglia può beneficiare del reddito di cittadinanza, ma le dimissioni volontarie di uno dei suoi componenti hanno un impatto anche sugli altri: la scala di equivalenza si riduce.

In termini pratici, l’importo dell’assegno diventa più basso perché il valore della scala di equivalenza è fondamentale per calcolare il valore dell’assegno che viene erogato ai cittadini.

In sintesi, non avendo diritto al sostegno economico, per il sistema del reddito di cittadinanza è come se quella persona non esistesse.

La stessa regola vale anche se uno dei componenti consegna le dimissioni durante il periodo in cui il nucleo familiare sta percependo il reddito di cittadinanza.

La variazione, infatti, deve essere subito comunicata all’INPS tramite il modulo dedicato.


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