Marzia Ciunfrini

I decreti ingiuntivi esecutivi sono soggetti all’imposta di registro (il 3% sull’importo ingiunto). Anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato.

Così dispone l’articolo 37 del DPR 131/1986. Inoltre l’articolo 22 del medesimo DPR stabilisce che se in un una sentenza sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate.

In pratica, l’Agenzia delle Entrate non le chiede un’imposta sulle somme che difficilmente (o mai) riuscirà a recuperare, ma semplicemente l’imposta di registro dovuta (3%, per complessivi 6%) su ciascuno dei due atti:
– l’atto di formalizzazione del contratto di prestito (verbale o scritto) perfezionato con l’amico debitore inadempiente (che a suo tempo avrebbe dovuto essere registrato) sul quale si basa la sentenza che le riconosce l’importo a credito;
– la richiesta di decreto ingiuntivo nei confronti dell’amico debitore inadempiente, per l’importo basato sulla sentenza.

Avrebbe forse potuto risparmiare almeno il 3% di imposta di registro riconducibile al decreto ingiuntivo se si fosse preliminarmente informata sulla capacità reddituale e patrimoniale dell’amico debitore inadempiente: i professionisti del recupero crediti si accertando delle condizioni economico patrimoniali del debitore prime di ricorrere al giudice per decreto ingiuntivo. Altrimenti ci guadagnano solo lo Stato e l’avvocato del creditore procedente.

Non credo sussistano valide motivazioni per poter contestare, con un minimo margine di successo, la pretesa formulata dall’Agenzia delle Entrate.


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