Lei non specifica a quale titolo Agenzia delle Entrate (AdE) pretenda il 6% della somma accordata dal giudice: se il capitale prestato era stato già tassato, l’unica pretesa può essere indirizzata alla eventuale riscossione degli interessi legali.
Probabilmente, se partiamo dal presupposto che il creditore non esercita attività di recupero crediti, ci si riferisce all’imposta di registro del 3% sull’importo ingiunto al debitore, più le altre spese fisse consistenti nel Contributo Unificato dovute allo Stato, nel compenso all’Ufficiale Giudiziario e nei costi della procedura giudiziale per avviare un eventuale pignoramento.
Potrebbe essere stata richiesta da AdE anche l’imposta di registro del contratto di prestito a suo tempo sottoscritto dalle parti (creditore e debitore).
Recita un noto aforisma “prestando soldi ad un amico, si perdono sicuramente i soldi e pure l’amico”. A meno che il debito non sia di relazione (nel qual caso non si può poi invocare il destino cinico e baro), bisogna innanzitutto valutare, prima di prestare denaro, la consistenza reddituale e patrimoniale del beneficiario (in altre parole, il merito creditizio di chi riceve il prestito): in modo da avere qualche chance di successo nell’azione di recupero coattivo qualora l’amico si dimostrasse inadempiente. Se non si adottano queste misure precauzionali inutile lamentarsi della nullatenenza del debitore, dell’iniquità della normativa vigente e della parcella dell’avvocato.
Noi non ci occupiamo di recupero crediti.
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