Andrea Ricciardi

Poter assistere gratis, o pagando il minimo, ai match sportivi più interessanti della stagione, per i quali servirebbe un abbonamento alla Pay tv, di calcio, formula 1, MotoGP: ma anche cinema e serie tv.

Una possibilità che fa gola a tanti, e che è all’origine della pirateria audiovisiva.

Si tratta di un illecito, punibile con multe e reclusione.

In Italia alimenta un giro d’affari di oltre 200 milioni di euro.

Ma cos’è il pezzotto ed in che modo si viola la legge?

La cosiddetta Iptv (acronimo di Internet protocol television) illecita è un sistema che permette di fruire gratis o a basso costo di contenuti televisivi diffusi solitamente a pagamento, che vengono acquisiti e poi redistribuiti sul web dai pirati digitali.

Un sistema gestito da sofisticate organizzazioni con sede spesso all’estero.

Per riuscire a vedere online le Iptv è richiesto di solito un abbonamento, il cui costo mensile si aggira attorno ai dodici euro.

Un importo molto più conveniente rispetto alle cifre richieste dalle Pay tv per assistere ai medesimi programmi, e che rappresenta dunque una tentazione.

L’accesso ai contenuti, una volta pagato il canone mensile, avviene grazie ad app dedicate oppure tramite un apposito dispositivo, definito in gergo ‘pezzotto’, il cui nome tecnico è box Android.

Si tratta di un decoder pirata che si acquista con 50-60 euro.

Consente di connettersi a una miriade di canali tv di tutto il mondo decriptandone il segnale originale oppure servendosi di app dedicate o credenziali di accesso.

A gennaio 2020 il tribunale di Roma ha oscurato quindici siti web di Iptv.

Ma c’è anche chi diventa pirata suo malgrado, connettendosi senza esserne consapevole a siti che trasmettono contenuti con accesso limitato.

Sono portali con inserzioni pubblicitarie di aziende note e riconoscibili, che conferiscono alle pagine web una parvenza di normalità.

Possiamo tuttavia distinguerli da alcuni indizi:

  • di solito chi c’è dietro il portale tende a nascondersi. Dunque saranno indicati in modo poco chiaro il nome dell’azienda, ubicazione del server, indirizzo fisico e data di creazione del sito;
  • il linguaggio con cui si comunica è stentato: errori di battitura, formattazioni disallineate, superficialità dei testi;
  • gli annunci pubblicitari e pop up sono molto invadenti.

Sembrerebbe scontato ma in tanti non si accorgono di star violando una legge.

I software che consentono il file sharing non sono di per sé illegali, a esserlo è l’utilizzo che se ne fa.

È vietato guardare canali tv a pagamento (come Sky e Netflix) e programmi a cui si accede per abbonamento, senza versare alcun canone.

La legge sul diritto d’autore (L. 633/41) punisce anche i fruitori del servizio, i cosiddetti pirati ‘passivi’.

Coloro cioè che usano apparati di decodifica abusivi.

Ma anche chi procede con il download illegale di materiale protetto da copyright per uso personale è punito con una multa di 154 euro (che sale fino a 1.032 euro nel caso di recidiva e se i contenuti scaricati siano molti) e con la confisca del materiale.

Se film, canzoni e partite vengono anche condivise senza scopo di lucro si rischia una multa da 51 a duemila euro.

La legge è più severa con i pirati ‘attivi’: chi condivide a scopo di lucro va incontro alla reclusione (da sei mesi a tre anni) e a multe da 2500 a 15.000 euro.

Inoltre, la pirateria è un ‘vizietto’ che può costare molto caro, portando alla divulgazione delle informazioni contenute nel pc.

Sottoscrivere un abbonamento illegale o connettersi a un sito pirata rende visibili e disponibili dati anagrafici, bancari e della carta di credito che possono essere impiegati da malintenzionati per commettere truffe.

Le stesse informazioni potrebbero confluire in database di potenziali vittime a cui destinare cyber-attacchi mirati.

Anche se la gran parte degli utilizzato di questi servizi (55%) ne sono inconsapevoli.

Nella migliore delle ipotesi il pc può essere ‘infestato’ da malware, virus e spy-bot solo aprendo un link o con il download di un file infetto (contro i quali è bene installare e tenere sempre aggiornato un antivirus).

In base a una ricerca dell’Università di KU Leuven, in Belgio, su 20.000 siti di streaming che trasmettono eventi sportivi, la maggior parte degli annunci pubblicitari proposti invita a scaricare programmi dannosi per il computer.


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