Ornella De Bellis

Il problema è esclusivamente del terzo pignorato (l’azienda datrice di lavoro) che non ha ottemperato all’ordine del giudice, peraltro arrogandosi, in modo completamente errato, l’interpretazione della normativa vigente (articolo 545 del codice di procedura civile). Normativa che non esclude affatto il prelievo fino ad un massimo di 1/5 ciascuno per due pignoramenti concorrenti sul medesimo stipendio qualora siano riconducibili a procedure esecutive azionate per crediti di natura diversa: nella fattispecie uno esattoriale (a favore di Agenzia delle Entrate Riscossione per 1/10), l’altro ordinario (a favore di una banca) fino al 20% della busta paga al netto degli oneri fiscali e contributivi.

Il datore di lavoro, nominato custode contestualmente all’atto di pignoramento, se non vuole rispondere di violazione degli obblighi di custodia, dovrà consegnare al creditore ordinario procedente l’importo di 1/5 della busta paga del debitore esecutato, così come stabilito dal giudice, per i mesi che vanno dalla notifica dell’atto di pignoramento alla data del decreto di assegnazione: potrà poi regolare i conti (per il rimborso di 1/10 per il numero di mesi in cui ha operato una trattenuta inferiore) con un accordo interno con il proprio creditore (il lavoratore dipendente sottoposto ad azione esecutiva). Magari, può considerare l’importo anticipato al creditore procedente, per assolvere agli obblighi di custodia, come un prestito a tasso zero erogato al dipendente sottoposto ad azione esecutiva, rimborsabile a 10 euro/mese: dal momento che il datore di lavoro non può effettuare prelievi dallo stipendio, nei mesi successivi al decreto di assegnazione, oltre quanto stabilito dal giudice (rischierebbe di essere denunciato per appropriazione indebita dal proprio dipendente).


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