Marzia Ciunfrini

Non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius a uno degli eredi. Premesso infatti che il godimento, a titolo gratuito, di un immobile si inquadra necessariamente nel contratto di comodato, disciplinato dagli articoli 1803 e seguenti del codice civile, l’arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata, utilità che non costituisce il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti (come invece nella donazione), bensì il contenuto tipico del comodato stesso.

Inoltre, l’obbligo di restituzione della cosa costituisce elemento essenziale del rapporto insito nello schema causale del comodato, cui è connaturata la temporaneità del godimento concesso al comodatario in relazione alla gratuità dell’uso, incompatibile con una illimitata rinuncia alla disponibilità del bene da parte del comodante; in altri termini la predeterminazione del periodo di durata del rapporto nascente dal comodato e dunque la delimitazione nel tempo del beneficio attribuito dal comodante al comodatario costituiscono elementi peculiari di tale contratto, estranei alla struttura ed alla finalità della donazione.

Tali differenziazioni comportano quindi l’insussistenza nel comodato dell’animus donandi, che pure costituisce requisito indispensabile della donazione, dovendosi escludere che le parti abbiano voluto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sull’immobile, essendo lo scopo di liberalità limitato all’uso gratuito del bene ferma restando la titolarità di ogni diritto reale in capo al proprietario, circostanza che configura la causa tipica del contratto di comodato e ne evidenzia la differenza da quella che contraddistingue la donazione.

Così si è espressa la Corte di cassazione nella sentenza 27259/2017.

Insomma, secondo i giudici della Corte di cassazione l’arricchimento non è un elemento del contenuto del contratto di comodato: anche se la stessa Suprema Corte riconosce che l’arricchimento sia un effetto tipico del contratto, e che dunque in forza di esso sussista uno squilibrio tra i coeredi, tuttavia rifiuta di applicare l’istituto della collazione, il cui scopo è dichiaratamente quello di colmare tali iniquità

Nel caso qui esposto, tuttavia, va ricordato che l’articolo 1803 del codice civile stabilisce che il comodato è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato. In realtà, pur aderendo all’orientamento giuridico appena esposto, secondo il quale al contratto di comodato, per se stesso, non è applicabile la collazione, diversa è la situazione, a nostro parere, in cui il comodatario coerede non si serva del bene ma ne tragga frutti locandolo (a meno che il contratto di comodato non preveda la possibile locazione del bene a terzi). In un tale contesto, potrebbe configurarsi un ingiustificato arricchimento del comodatario ai danni del comodante (e dunque, indirettamente degli altri coeredi) dal momento che il comodante stesso avrebbe potuto locare il bene traendo frutti che sarebbero, presumibilmente, rientrati nell’asse ereditario.

Ma, andrebbe citato, dai coeredi presuntivamente pretermessi, il coerede comodatario per ingiustificato arricchimento derivante dalla locazione dell’immobile concessogli in comodato.


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