Le somme dovute a titolo di pensione, nel caso di accredito su conto corrente bancario o postale intestato al debitore (o su carta prepagata con IBAN), possono essere pignorate solo per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, vale a dire solo per l’importo eccedente mille e 374 euro (nel 2019 l’importo massimo dell’assegno sociale è pari a 458 euro).
Nel caso di pensione di invalidità, poi, trattandosi sussidio di natura assistenziale ed essendo l’importo, di più, l’importo percepito inferiore al minimo vitale, i singoli ratei risulterebbero impignorabili presso l’INPS.
Però, data la caratteristica di fungibilità del denaro (una volta confluito sul conto corrente il denaro, cioè, perde qualsiasi correlazione con la causale per cui fu accreditato), eventuali risparmi conseguenti a successivi accrediti di ratei della pensione sulla carta dotata di IBAN devono sottostare alla stessa regola. Ragion per cui, la carta dotata di IBAN intestata a soggetti debitori in odore di pignoramento deve servire solo per ricevere l’accredito da pensione (o da stipendio): l’importo accreditato deve essere subito trasferito altrove, ancora caldo di bonifico.
Certo, anche qui, qualora la carta prepagata IBAN fosse riservata esclusivamente a recepire i bonifici dell’INPS si potrebbe ricorrere al giudice delle esecuzioni per eccepire la circostanza sostanziale che pignorare il saldo di conto corrente significherebbe, nella pratica, con le ipotesi appena enunciate, pignorare integralmente i ratei di pensione in spregio a quanto disposto, chiaramente, dall’articolo 545 del codice di procedura civile. Ma, occorrerebbe sicuramente pagare la parcella ad un avvocato nonché il contributo unificato per le spese di giudizio, a fronte di un esito alquanto incerto che dovrebbe approdare, comunque, in Cassazione.
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