Il ruolo del giudice è strettamente vincolato a verificare che sulla busta paga non vadano ad insistere contemporaneamente due ritenute per debiti riconducibili a pignoramenti per debiti della stessa natura ordinaria o esattoriale. Quando ciò si verifica pospone il secondo prelievo alla fine del primo rimborso coattivo, in modo che lo stipendio non venga gravato da una sottrazione superiore al 20% per ciascuna classe di credito azionato. Inoltre, il giudice è tenuto a verificare che la somma dei pignoramenti in corso, siano essi per crediti ordinari, esattoriali ed alimentari e di una eventuale cessione volontaria del quinto della retribuzione, non oltrepassi mai la soglia del 50% dello stipendio (al netto degli oneri fiscali e contributivi, nonché al lordo dei prelievi tutti).
E sulla sua busta paga non vi sono prelievi coattivi da pignoramento, ma solo ritenute per obbligazioni volontariamente assunte, benchè regolate alla fonte. Sotto questo aspetto, il giudice non può tener conto di precedenti obblighi assunti dal debitore sottoposto ad azione esecutiva riconducibili ad esigenze abitative (canone di locazione o rata di mutuo per l’acquisto della prima casa), a spese di cura per sé e/o per i propri familiari, ad altre spese per il mantenimento della famiglia (ad esempio, per l’iscrizione e per la frequenza a corsi universitari o di formazione professionale dei figli); men che meno per prestiti acquisiti allo scopo di soddisfare esigenze di tipo voluttuario (automobile, arredamenti, eccetera).
Qualora il giudice (per pura ipotesi) volesse tener conto di tali spese, il creditore procedente potrebbe impugnare il decreto di assegnazione della minore quota pignorata ed ottenere quanto gli spetta in base alla normativa vigente.
Il rimedio affinché il giudice possa imporre al creditore una quota di prelievo dallo stipendio inferiore a quella stabilita per legge, in presenza di una specifica situazione di debito eccessivo, è offerto dalla legge 3/2012, finalizzata, appunto, a gestire la composizione delle crisi da sovraindebitamento attraverso accordi con i creditori, la presentazione di un piano del consumatore o la liquidazione volontaria dei beni di proprietà del debitore.
Si tratta, di una procedura (quella prevista dalla legge 3/2012) che deve essere adottata dal debitore per tempo, al massimo in occasione della notifica del precetto (che segue il decreto ingiuntivo) e non dopo la notifica dell’atto di pignoramento presso terzi: l’articolo 480 del codice di procedura civile, infatti, dispone che il precetto debba contenere, a pena di nullità, l’avvertimento che il debitore possa, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.
Per attivare la procedura prevista dalla legge 3/2012, deve rivolgersi ad uno degli organismi istituiti proprio dalla stessa legge 3/2012 e preposti al supporto tecnico giudiziale del debitore sovraindebitato, i cosiddetti Organismi per la Composizione delle Crisi da Sovraindebitamento (OCC).
Questo link consente di accedere al registro gestito dal Ministero della Giustizia dove è possibile reperire l’elenco degli organismi abilitati alla composizione della crisi da sovraindebitamento, nonché tutti i dati di contatto, per ottenere adeguata assistenza nella presentazione di un piano del consumatore presso il Tribunale territorialmente competente.
Ma, torno a ripeterlo, prima che si arrivi al pignoramento.
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