Come sappiamo, l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. Così, almeno, stabilisce l’articolo 476 del codice civile.
La norma civilistica è alquanto generica: a chiarire le cose, soprattutto in riferimento al quesito posto, ci ha pensato l’ordinanza della Corte di cassazione (4320/2018), secondo la quale, in tema di successioni per causa di morte, un pagamento del debito del de cuius ad opera del chiamato all’eredità con denaro dell’eredità, configura un’accettazione tacita; mentre nel caso in cui il chiamato adempia al debito ereditario con denaro proprio, quest’ultimo non può ritenersi per ciò stesso che abbia accettato l’eredità.
In particolare, aggiungono i giudici, l’utilizzo di somme su conto corrente cointestato tra il defunto ed il proprio figlio, per l’adempimento di un debito comune non è, di per sé solo, comportamento idoneo a configurare accettazione tacita di eredità: occorre la prova che il denaro giacente sul conto sia, almeno in parte, denaro dell’eredità.
Tanto premesso, tuttavia io personalmente, per evitare complicazioni, deciderei prima se accettare o meno l’eredità e poi, eventualmente, pagherei il debito.
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