Simonetta Folliero

Che nulla sia stato, finora, prelevato dal conto corrente cointestato con il defunto, non evita il possibile configurarsi di una accettazione tacita dell’eredità: infatti, va anche tenuto conto che, sicuramente, nella richiesta di chiusura del conto corrente cointestato, è stato necessario indicare un conto corrente (di intestazione esclusiva di madre o figlio oppure fra questi contestato) sul quale trasferire il saldo residuo in conto corrente.

Per inciso, sua madre avrebbe potuto prelevare, per evitare accettazione tacita dell’eredità, dal conto corrente cointestato, solo somme di danaro che fossero inequivocabilmente riconducibili alla propria disponibilità: se, tuttavia, sul conto corrente cointestato afferivano solo le rimesse pensionistiche del defunto, il discorso si complica.

Quello che andava fatto, era trasferire su un conto corrente intestato solo a sua madre le somme di esclusiva competenza della genitrice, e non richiedere la chiusura del conto corrente cointestato con contestuale trasferimento altrove, dell’intero saldo disponibile.

Peraltro, l’articolo 485 del codice civile dispone che il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.

In altre parole, al momento del decesso, sua madre, cointestataria del conto corrente con il defunto (e quindi, in possesso di somme attribuibili all’eredità), avrebbe dovuto redigere inventario, indicando quali importi costituenti il saldo erano da imputare all’eredità e quali invece di esclusiva competenza della vedova.


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