Giorgio Valli

Nelle ultime settimane, si è registrato un forte aumento di cambi di residenza e/o di divorzi: ciò, sembrerebbe, al fine di poter aggirare i limiti ISEE previsti per poter ottenere il tanto agognato reddito di cittadinanza.

Ma attenzione, il governo si sta muovendo molto velocemente per arginare il fenomeno.

È bastato un vertice pomeridiano a palazzo Chigi, durato poco più di un’ora, per decidere che non si potevano compromettere mesi di trattative, litigi e vertici notturni sfociati in provvedimento cruciale per il governo.

Così, la commissione Lavoro in Senato ha approvato un emendamento che obbliga gli ex coniugi a presentare verbali certificati dalla polizia locale sul cambio di residenza qualora la separazione sia avvenuta dopo il primo settembre 2018.

Chi ha deciso di mettere fine alla propria relazione per davvero, è andato a vivere in un’altra casa e ha i requisiti per ricevere il sussidio, non avrà problemi ad ottenerlo.

Gli altri, i finti infelici, resteranno a mani vuote almeno per 5 anni: tanto durerebbe l’esclusione per chi rilascia dichiarazioni false.

Viene, inoltre, ampliato il monte ore per i servizi sociali: si può passare da 8 a 16 ore con l’accordo del Comune e del beneficiario.

Ricordiamo che i criteri per ottenere il reddito di cittadinanza sono diversi per i singoli e per le famiglie.

Nel primo caso, la persona può percepire un massimo di 780 euro al mese. Nel secondo caso, invece, la cifra è più alta e arriva a 1.330 euro, se il nucleo è composto anche da un minimo di tre figli di età inferiore a 26 anni.

È quindi possibile che due persone sposate o conviventi non riescano a percepire il reddito se restano insieme, ma non abbiano difficoltà a ottenerlo se si separano.

Il sussidio può inoltre essere aumentato o diminuito a seconda che la persona viva in una casa di proprietà o in affitto.

E’ bene, infine, ricordare, che la norma prevede che chiunque, al fine di ottenere o mantenere il beneficio, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, o attestazioni di cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente il reddito di cittadinanza è punito con la reclusione da due a sei anni.


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