Il codice civile (articolo 2956) parla chiaro, e dispone che si prescrive in tre anni il diritto dei professionisti (avvocati, ingegneri, geometri, medici e via dicendo), per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlate.
La prescrizione presuntiva, non trova applicazione se, e solo se, il debitore abbia ammesso, anche implicitamente (in uno scambio epistolare tradizionale o di e-mail, ad esempio) di non avere corrisposto al professionista il compenso dovuto.
L’istituto della prescrizione presuntiva è proprio finalizzata ad evitare che il debitore si trovi impossibilitato a provare, a distanza di tempo, l’adempimento di un debito relativo al compenso di determinate prestazioni.
Purtroppo, non si può evitare il fastidio derivante da qualche azzeccagarbugli scorretto che decida di passare in rassegna l’archivio clienti nel tentativo di raschiare il fondo del barile, confidando nel timore ingenerato nel destinatario della formale comunicazione leguleia con avviso di ricevimento.
Non c’è altro da aggiungere se non che le prescrizioni presuntive, trovando ragione unicamente nei rapporti che si svolgono senza formalità, dove il pagamento suole avvenire senza dilazione, non operano se il credito trae origine da contratto stipulato in forma scritta.
Tuttavia il contratto scritto che esclude l’operatività della prescrizione del credito dell’avvocato (ai sensi dell’art. 2956, comma secondo, del codice civile) non può essere individuato nella procura alla lite, la quale va tenuta distinta dal contratto di mandato attinente al rapporto interno tra cliente e professionista (Cassazione 11145/2012).
Insomma, se lei non firmò un contratto di mandato all’avvocato nel 1996 e se, anche avendolo sottoscritto, l’avvocato non esibisce prova di invio con raccomandata AR di atti interruttivi della prescrizione con cadenza al massimo decennale, la pretesa è presuntivamente prescritta.
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