Simonetta Folliero

L’appropriazione indebita è un reato previsto dal codice penale (articolo 646): secondo i giudici della Corte di Cassazione (sentenza numero 29019/14) è configurabile il reato di appropriazione indebita a carico del cointestatario di un conto corrente bancario, il quale, pur se autorizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dal codice civile, secondo cui le parti di ciascun cointestatario si presumono, fino a prova contraria, uguali.

Nella fattispecie, essendo due i cointestatari, la quota di prelievo personale da non superare, per non incorrere nel reato, è quella del 50%.

Tuttavia la stessa Corte di cassazione (sentenza 77/2018) ha recentemente precisato che qualora il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo. Peraltro, pur ove si dica insuperata la presunzione di parità delle parti (50%), ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto.

In pratica, gli eredi dell’altro cointestatario potrebbero ingiungerle la restituzione della differenza fra quanto complessivamente prelevato a titolo personale e la liquidità inizialmente conferita.

Suggeriamo di chiedere alla banca il rilascio di un bancomat riconducibile all’altro cointestatario, da utilizzare per i prelievi di cui egli ha bisogno.


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