Entrambi i testamenti – il primo, che nomina il coniuge superstite erede universale ed il secondo, che esclude il coniuge superstite dall’eredità – sono impugnabili per violazione della quota di legittima.
Per quanto riguarda il primo testamento, al coniuge superstite, infatti, sarebbero spettati al massimo 1/4 del patrimonio disponibile (la quota di cui il defunto poteva disporre, per testamento, non destinandola ai legittimari) e 1/4 in qualità di erede legittimo, mentre la metà del patrimonio avrebbe dovuto essere diviso fra i figli del defunto. In sostanza il patrimonio del defunto andava attribuito per la metà al coniuge superstite e par la metà ai due figli.
Per quanto attiene il secondo testamento 1/4 (minimo) del patrimonio andava attribuito al coniuge superstite ed i 3/4 (al massimo) ai figli.
Peraltro, per affermare l’esistenza della captazione non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato (Cass. n. 2122/1991). E ne occorre prova.
Ora, volendo ritenere valido l’ultimo testamento (se non si vogliono attendere anni per l’accertamento della presunta captazione della volontà del testatore), gli eredi del coniuge superstite potrebbero comunque promuovere azione giudiziale per la reintegrazione della quota di eredità legittima spettante al coniuge superstite: con la cosiddetta riunione fittizia il giudice stabilisce l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determina il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso (il coniuge superstite).
In questa fase gli eredi del coniuge superstite potrebbero chiedere, avendone prova, la riduzione delle disposizioni testamentarie richiamando le donazioni ai figli effettuate in vita dal testatore.
A questo punto è evidente che, se non si vuole devolvere l’eredità agli avvocati delle due parti, converrebbe che gli eredi del coniuge superstite ed i figli del de cuius raggiungessero un accordo transattivo: una buona base di partenza potrebbe essere costituita dalla divisione del patrimonio secondo le regole vigenti in assenza di testamento, chiudendo un occhio sulle donazioni effettuate in vita dal de cuius a beneficio dei due figli.
In pratica, un terzo del patrimonio relitto andrebbe al coniuge superstite e due terzi verrebbe diviso fra i figli del defunto, o i loro discendenti. Tanto più che gli eventuali eredi del coniuge superstite, in assenza di una transazione ragionevole, potrebbero allertare i creditori del figlio erede debitore: ed allora sarebbero guai seri perché i creditori, per entrare in possesso della quota di eredità spettante al proprio debitore, non avrebbero neanche bisogno di impugnare la sua eventuale rinuncia all’eredità.
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