Genny Manfredi

Il cosiddetto assegno di vedovanza, in pratica, è una sorta di assegno al nucleo familiare (ANF), corrisposto, però, a nuclei composti da una sola persona, esclusivamente in presenza di determinati requisiti.

E’ un diritto poco conosciuto previsto dal Decreto legge 69/1988, convertito nella legge 153/88, nonché dalla Cassazione con sentenza n.7668/96.

In parole povere, le persone invalide al 100% di qualunque età, in caso di morte del coniuge, possono conseguire un assegno di vedovanza che consiste in un aumento di 53 euro mensili sulla pensione se sono titolari di reversibilità INPS o INPDAP (ovvero se il coniuge defunto aveva un lavoro dipendente) e sempre che non superino determinati limiti di reddito.

Infatti, l’importo dell’assegno integrativo dipende dal reddito del vedovo o della vedova.

Per un reddito familiare fino € 27.899,67, l’assegno è pari a 52,91 euro mensili.

Mentre per un reddito familiare da 27.899,68 fino a euro 31.296,62, l’assegno è pari a 19,59 euro mensili.

In caso di reddito superiore, non spetta alcun assegno.

Ricordiamo che quello dell’integrazione della pensione è un diritto inespresso, ovvero un diritto che spetta al cittadino solo se questi ne fa esplicita richiesta all’Inps.

Ciò vuol dire che se l’interessato non fa domanda in tal senso non può percepire l’assegno integrativo.

Per richiedere l’integrazione della pensione di reversibilità occorre trasmettere telematicamente apposita domanda all’INPS, anche tramite l’ausilio del patronato che provvederà all’inoltro delle istanze per le persone che non siano in grado di effettuarlo in autonomia.

Ai fini dell’inoltro della domanda occorre la seguente documentazione: codice fiscale, carta di identità, tessera sanitaria, prospetti di pensione Mo.0 bis M oppure CUD, verbale ASL attestante l’invalidità al 100%, modello SS3 (da compilare da parte del medico).

Da notare che, al momento che la prescrizione è quinquennale, il richiedente può avere diritto a 5 anni di arretrati del cosiddetto assegno di vedovanza.


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