Ludmilla Karadzic

Ciascuna società di recupero crediti opera secondo propri, e ben definiti, modelli di business: nel settore troviamo quelle che acquistano i crediti a chilo, pagando le pratiche pochi centesimi ognuna e, magari, mettendo in linea l’escussione di crediti inesigibili (junk o garbage credits) perché prescritti oppure oggetto di contenzioso (un esempio è rappresentato dalle società che operano nella fornitura di energia e di servizi TLC che negli ultimi tempi hanno esagerato nella cessione di crediti solo presunti ed oggetto di conciliazione/mediazione obbligatoria prima del passaggio in giudizio promosso dall’utente dei servizi).

Altre, invece, prima dell’acquisto preferiscono sottoporre le pratiche ad una minuziosa fase di “due diligence”, termine con il quale si indica l’attività di investigazione e di approfondimento di dati e informazioni patrimoniali e reddituali del debitore (e dell’eventuale garante), il cui scopo è valutare il grado di solvibilità nonché il margine di successo dell’azione esecutiva giudiziale a cui sottoporre l’obbligato inadempiente. L’attività investigativa è dispendiosa e richiede la disponibilità di capitali per investimenti a fondo perduto.

Peraltro, non va mai dimenticato, a questo proposito, che l’articolo 492 bis del codice civile prevede che su istanza del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore risiede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, può autorizzare la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. In particolare, può essere autorizzato l’accesso alle informazioni contenute nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutto quanto rileva per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito, di assicurazione nonché con datori di lavoro o committenti.

Ora, le società di recupero crediti appartenenti alla prima classe esaminata, operano, come si dice in gergo, a strascico, nel senso che la loro azione si limita a contattare ripetutamente il debitore al telefono o al cellulare, o ad effettuare visite presso il suo domicilio, minacciandolo di intraprendere azioni legali nei suoi confronti, proponendogli la sottoscrizione di cambiali che poi depositano a sconto oppure accordi transattivi a saldo stralcio. I pochi debitori che, per un motivo o per un’altro, decidono di pagare, compensano ampiamente il costo di acquisto delle pratiche per le quali il tentativo di riscossione non approda ad un esito positivo.

Invece, le società di recupero crediti appartenenti alla seconda tipologia menzionata, procedono inviando al debitore una lettera di diffida e messa in mora, seguita dalla notifica di un decreto ingiuntivo, del canonico precetto cui segue, inevitabilmente, il pignoramento dello stipendio, della pensione, del conto corrente, o l’iscrizione ipotecaria sul bene immobile di proprietà del debitore. Di solito, non vengono neppure esaminate eventuali offerte di saldo stralcio da parte del debitore, dal momento che i diritti di credito acquisiti (in particolare quelli derivanti da pignoramento di stipendio o pensione del debitore) vengono liquidati con la cessione a società finanziarie specializzate.

Per quanto qui esposto, è evidente che il ricavato dalla cessione del credito da parte della banca o della finanziaria che ha erogato il prestito al debitore può variare da pochi centesimi (1% del valore nominale del debito residuo non adempiuto) ed arrivare anche a quote del 50-60%, in relazione al tipo di cessionaria acquirente e al grado di vulnerabilità del debitore così come valutato quando sottoposto ad azioni esecutive giudiziali.


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