Un contratto di locazione ha una data di scadenza che è fissata dalla legge e che le parti non possono ridurre: inoltre, alla sua scadenza, l’affitto si rinnova per un periodo di tempo uguale alla prima scadenza (altri 4 anni nel contratto 4+4, oppure altri 2 anni nel contratto 3+2).
Comunque sia il locatore che il conduttore possono impedire il rinnovo automatico dell’affitto inviando una disdetta prima della scadenza e facendola pervenire all’altra parte non meno di 6 mesi prima della scadenza.
Purtroppo, i successivi rinnovi del contratto di locazione non possono essere desunti da comportamenti taciti: per attivare un contratto di affitto è sempre necessario un contratto scritto che va, necessariamente, registrato all’Agenzia delle entrate.
Al contrario il contratto è inesistente.
Di questo avviso anche la Corte di Cassazione, la quale, con ordinanza 29313/17, ha chiarito che la stipula o la rinnovazione tacita di un contratto di locazione non può desumersi dal fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall’accettazione dei canoni e neppure dal ritardo con il quale sia stata promossa l’azione di rilascio, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto.
In parole povere, non basta che l’inquilino sia rimasto a vivere, dopo una diffida di rilascio inviata correttamente, nell’appartamento precedentemente concesso in locazione, anche se abbia continuato a pagare il canone, per configurare un rinnovo del contratto.
In tali casi, su richiesta del proprietario, è bene lasciare l’appartamento.
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