Simone di Saintjust

Va innanzitutto premesso che l’inabilitazione (articolo 415 del codice civile) si differenza dall’interdizione (articolo 414 del codice civile) in quanto l’inabilitato non deve necessariamente versare in uno stato patologico e riconosciuto di infermità mentale: è sufficiente che manifesti atteggiamenti, seppur lucidi nonché espressioni di libera scelta di vita, che abbiano come conseguenza,, ad esempio, il mancato rispetto dei vincoli di solidarietà familiare.

Secondo giurisprudenza consolidata (da ultimo, Cassazione sentenza 786/2017), la prodigalità, cioè un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare eccessiva rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura autonoma causa di inabilitazione, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio, frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, o a disprezzo dei vincoli di solidarietà familiare). Ne discende che il suddetto comportamento non può costituire ragione d’inabilitazione del suo autore quando risponda a finalità aventi un proprio intrinseco valore. In particolare, nella fattispecie, la Suprema Corte aveva giudicato insussistenti gli estremi della prodigalità nella condotta di un soggetto che, con la redistribuzione della propria ricchezza a persone a lui vicine, anche se non parenti, intendeva dare una risposta positiva e costruttiva al naufragio della propria famiglia.

E qui si potrebbe estendere per analogia il concetto: essendo suo padre vedovo, con figli maggiorenni economicamente autonomi, sarebbero certamente riconosciuti come insussistenti gli estremi della sua prodigalità finalizzata ad allietare, con una precisa scelta di vita, il crepuscolo della propria esistenza.

Insomma la sola compromissione del patrimonio familiare non è sufficiente a giustificare un provvedimento limitativo della capacità di agire. Dato che, quando l’attività del soggetto risponde ad una consapevole scelta, la sua autonomia non potrebbe essere limitata, anche se risulta compromessa la consistenza patrimoniale.

In sostanza, il comportamento prodigale, di consapevole dilapidazione del proprio patrimonio, rientra in una sfera di libertà dell’uomo che l’ordinamento non può e non deve comprimere: per quanto l’esercizio di tale pretesa libertà economica sia eticamente, moralmente e socialmente censurabile laddove induca allo sperpero ed alla dilapidazione patrimoniale.

Il suggerimento ai figli è, dunque, quello di evitare il depauperamento anche del loro patrimonio, sperperato in onerose parcelle dovute agli avvocati assunti allo scopo di ottenere una improbabile dichiarazione giudiziale di inabilitazione del proprio genitore.


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