Partendo dalle sua ultime considerazioni, va subito tranquillamente riconosciuto che la legge non sempre è uguale per tutti: spesso l’applicazione dei codici dipende dal contesto politico sociale in cui il giudice è chiamato a decidere o, in ambito territoriale, dalle linee guida che vengono concordate, su particolari e delicate tematiche non ancora oggetto di giurisprudenza consolidata, dal presidente del Tribunale e dall’ordine forense.
Non a caso, il nostro ordinamento prevede fino a tre gradi di giudizio e se alla Corte di cassazione è affidato, esplicitamente, l’importante compito di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale, vuol dire che la non uniformità di giudizio è considerata evenienza ben possibile.
Tornando al merito della questione da lei posta dopo la lettura dell’articolo qui stralciato, va detto che già adesso è riconosciuta, all’imprenditore fallito o al consumatore sovraindebitato, la possibilità di esdebitazione, cioè di estinzione del debito.
Il giudice può riconoscere l’estinzione del debito all’imprenditore fallito (articolo 142 legge fallimentare) o al consumatore, non professionista, travolto dagli effetti del sovraindebitamento (legge 3/2012), se ravvisa l’assenza di ogni colpa, responsabilità o volontà di inadempimento da parte del debitore. Con un ulteriore fondamentale dettaglio a cui, tuttavia, non viene dato alcun risalto, almeno nella parte dell’articolo che lei ha riportato. Oltre agli elementi appena richiamati deve sussistere un altro, non meno importante, requisito: per ottenere l’esdebitazione l’imprenditore fallito, o il consumatore sovraindebitato, deve dar prova di aver liquidato l’intero patrimonio ed impegnato tutti i redditi percepiti e percipiendi (ad esclusione di quelli necessari alla sopravvivenza del debitore stesso e della propria famiglia) nell’intento di soddisfare i creditori.
Se vogliamo, questo principio è stato applicato anche a lei nelle modalità di pignoramento della pensione: il prelievo è stato limitato al solo 20% di quanto le eroga mensilmente l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, lasciandole una disponibilità ben superiore a quella del minimo vitale (importo pari all’assegno sociale aumentato della metà) che è considerato, per legge, come indispensabile per la sopravvivenza del debitore inadempiente pensionato.
Peraltro, se lei appena dopo il licenziamento avesse chiesto al giudice l’esdebitazione prevista dalla legge per la composizione della crisi da sovraindebitamento, il giudice non avrebbe accolto la sua istanza, dal momento che da lì a poco, sarebbero maturate le condizioni per fruire di una pensione di importo superiore al minimo vitale.
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