Lilla De Angelis

Raramente l’agente della riscossione (Equitalia fino al primo luglio 2017 e da tale data l’agenzia delle entrate-riscossione) procede al pignoramento presso la residenza del debitore, a meno che non vi siano validi presupposti per ritenere di poter espropriare, nel corso dell’azione esecutiva, oggetti di valore ovvero, mobili d’antiquariato, quadri e sculture d’autore, gioielli, orologi di marca, metalli preziosi, arredi e complementi di pregio, impianti di servizio e/o di intrattenimento tecnologicamente avanzati.

Infatti, il pignoramento presso la residenza di un debitore comune rappresenta, il più delle volte, un’azione esecutiva inefficace (e generalmente poco vantaggiosa economicamente): il rischio che il corre il creditore (per il quale agisce l’agenzia delle entrate-riscossione) è quello di dover far fronte ad altri oneri per poi rientrare, con un’eventuale vendita all’asta di mobili usati, neanche delle spese anticipate.

Tanto premesso, va sempre, ed innanzitutto, ricordato che anche un contratto di comodato gratuito sottoscritto dal debitore ed esibito all’ufficiale giudiziario in occasione dell’accesso presso la sua residenza, potrebbe non evitare il pignoramento dei beni mobili rinvenuti.

Infatti, secondo giurisprudenza consolidata, non è compito dell’ufficiale giudiziario valutare l’efficacia e la legittimità della documentazione prodotta dal debitore: l’ufficiale giudiziario, pertanto, dovrebbe limitarsi ad eseguire il pignoramento dei beni rinvenuti (che si presumono legalmente essere di proprietà del debitore) con esclusione di quelli tassativamente indicati dall’articolo 514 del codice di procedura civile (l’anello nuziale, i vestiti, la biancheria, i letti, i tavoli per la consumazione dei pasti con le relative sedie, gli armadi guardaroba, i cassettoni, il frigorifero, le stufe ed i fornelli di cucina anche se a gas o elettrici, la lavatrice, gli utensili di casa e di cucina unitamente ad un mobile idoneo a contenerli, in quanto indispensabili al debitore ed alle persone della sua famiglia con lui conviventi, gli animali d’affezione).

L’effettivo proprietario dei beni pignorati (nella fattispecie il comodante) ha poi facoltà di rivolgersi, con l’indispensabile supporto tecnico di un avvocato, al giudice dell’esecuzione del Tribunale territorialmente competente per chiedere la liberazione dei beni pignorati dall’ufficiale giudiziario, dietro esibizione di idonea documentazione.

Lei scrive Ho letto che l’obbligo di conservare la fatture e i titoli d’acquisto è valido per 10 anni, posso quindi esimermi dal disporre dei titoli d’acquisto se il medesimo è avvenuto oltre 10 anni fa?

Ammesso pure che il riferimento all’obbligo da lei citato sia coerente con la questione affrontata in questa sede, ci troveremmo, comunque, a risolvere il dilemma classico se sia nato prima l’uovo o la gallina: si dovrebbe, in altre parole, dimostrare che l’acquisto dei beni indicati nel contratto di comodato fosse avvenuto più di dieci anni fa.

E comunque, se c’è un contratto di comodato sottoscritto fra il coniuge del debitore ed un terzo, il terzo non è tenuto anche a produrre le fatture d’acquisto: la ratio è che il giudice dell’esecuzione deve limitarsi a stabilire se la documentazione prodotta sia sufficiente ad escludere l’attribuzione della proprietà dei beni pignorati in capo al debitore esecutato e non deve certo estendersi ad un’indagine finalizzata ad appurare che i beni indicati nel contratto di comodato siano effettivamente di proprietà del contraente non debitore (il comodante).

Il consiglio che le è stato fornito dal suo parente è quindi ottimo, a condizione che sua sorella (affine del debitore) venga messa al corrente della possibilità, nella malaugurata ipotesi di un pignoramento, di dover poi impiegare parte del proprio tempo a girare per aule di tribunale insieme ad un avvocato (che si suppone, inutile aggiungerlo, esser stato pagato dal debitore).


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