L’avvocato che l’assiste conoscerà, sicuramente meglio di noi, l’evoluzione giurisprudenziale più recente sul tema proposto e saprà consigliarla adeguatamente nel merito.
Noi ci limitiamo a richiamare, ai debitori prossimi all’esecuzione tramite pignoramento presso residenza o domicilio, la risalente sentenza di Corte di cassazione 4811/1979 secondo la quale nell’opposizione di terzo all’esecuzione, qualora l’opponente produca in giudizio una scrittura privata registrata dalla quale risulti che i mobili pignorati sono stati da lui affidati in comodato al debitore, tale scrittura, provenendo da due parti in causa, se non sia stata disconosciuta, fa piena prova anche nei confronti del creditore procedente.
Consigliamo anche di evitare che il contratto di comodato (o altra attestazione) sia perfezionato fra coniugi, dal momento che una tale soluzione potrebbe introdurre ulteriori, rilevanti complicazioni: qualora, infatti, il regime patrimoniale adottato è quello di separazione dei beni, laddove il coniuge comodante non sia in grado di dimostrare la proprietà esclusiva del bene, il creditore procedente potrebbe invocare la presunzione di comproprietà dello stesso. Analogo problema nasce se il regime patrimoniale adottato è quello di comunione legale: il creditore procedente potrebbe chiedere al giudice dell’esecuzione di accertare se i beni oggetto del contratto di comodato siano stati acquisiti dal coniuge comodante prima del matrimonio (in difetto i beni sarebbero ugualmente pignorabili, anche con il contratto di comodato, dal momento che nella comunione legale i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari).
Quindi, a nostro parere, al giudice delle esecuzioni va esibito un contratto di comodato, registrato all’Agenzia delle entrate in data antecedente a quella di notifica dell’atto di pignoramento e sottoscritto dal debitore e da un terzo (sicuramente non coniuge del debitore, ma possibilmente nemmeno parente o affine).
E’ stato scritto che la documentazione va esibita al giudice dell’esecuzione, da parte del terzo, proprietario dei beni pignorati, semplicemente perché non è concesso all’ufficiale giudiziario decidere sulla conformità e sull’efficacia degli atti esibiti in sede di pignoramento. Tale valutazione spetta esclusivamente al giudice dell’esecuzione presso il Tribunale territorialmente competente, a cui l’effettivo proprietario dei beni pignorati si rivolge per ottenerne la liberazione.
L’ufficiale giudiziario deve limitarsi a pignorare i beni rinvenuti nella casa del debitore con la sola esclusione delle cose mobili tassativamente elencate all’articolo 514 del Codice di procedura civile (cose mobili assolutamente impignorabili – si veda Cassazione 23625/2012).
E’ pur vero che trattandosi di esecuzione mobiliare di tipo esattoriale, l’articolo 63 del dpr 602/1973 dispone che l’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando e’ dimostrato che i beni [pignorandi ndr] appartengano a persona diversa dal debitore iscritto a ruolo ma, a parere dei giudici di legittimità, estensori della sentenza 23625/2012, la circostanza è da ritenersi un’eccezione limitata all’esecuzione affidata ad un ufficiale della riscossione (figura diversa dall’ufficiale giudiziario): insomma, la norma non può ritenersi di portata generale nell’espropriazione mobiliare.
Infine, nel corso dell’esperienza acquisita in circostanze simili a quelle in cui versa il nostro lettore, abbiamo anche visto amici e parenti del debitore esecutato procedere all’acquisto, presso rigattieri e negozi di mobili usati, di arredi del tutto simili, per descrizione, a quelli posizionati nella di lui abitazione, dietro, naturalmente, emissione di regolare fattura, a volte pure retrodatata.
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