Andrea Ricciardi

Non è che basta appendere al collo di una giraffa un cartello con sopra scritto mucca, per farla diventare una mucca e poterle mungere il latte: la voce dal datore di lavoro classificata come maternità ditta altro non è che la retribuzione, seppur ridotta, dovuta alla lavoratrice in maternità facoltativa secondo quanto stabilito dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), al netto della quota trattenuta per il rimborso del prestito concesso con cessione volontaria del quinto, di cui la lavoratrice ha fruito.

Per quanto concerne la maternità ditta, dunque, non si tratta di una effettiva indennità di maternità, ma di una semplice retribuzione (seppur ridotta) dovuta alla lavoratrice in maternità facoltativa (una sorta di aspettativa, se vogliamo) e come tale pignorabile nella misura del 20%. In pratica lei deve considerare tutte le voci indicate nella busta paga e sommarle, ad esclusione di quelle classificate come maternità INPS ed assegni familiari. Al risultato ottenuto deve aggiungere la trattenuta fissa per cessione del quinto (140 euro). Otterrà così l’importo pignorabile sul quale calcolare il 20% che non vedrà più fino all’integrale rimborso del credito azionato di cui è garante (a meno che non intervengano licenziamenti o dimissioni ad interrompere il rapporto di lavoro).

L’unica circostanza che potrebbe giustificare le sue lamentele ed un ricorso al giudice delle esecuzioni si verificherebbe qualora la somma fra quota pignorata e quota ceduta risultasse maggiore della metà della retribuzione percepita (maternità ditta + quota ceduta).

Per farla breve la somma fra quanto le pignoreranno e la trattenuta per cessione del quinto (140 euro) non deve superare i 362 euro.


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