Giorgio Valli

Permangono elementi di ambiguità e contraddizione nell’esposizione dei fatti, dove si continuano a dare per scontati alcuni elementi di diritto che scontati non sono; ad esempio relativamente alla rinuncia dell’eredità, quando viene riportata, quasi per inciso, la seguente affermazione … considerato che il defunto non ha lasciato altri beni mobili o immobili, pertanto non e’ stato necessario effettuare alcuna operazione di successione (fatta eccezione per il veicolo).

Se il chiamato all’eredità (erede) non intende accettare, egli vi deve rinunciare espressamente. Ciò vuol dire che i beni del defunto debitore (compreso il vecchio catorcio da rottamare) non possono essere assolutamente alienati (anche a titolo gratuito): essi devono restare nella disponibilità dei creditori, perchè questi ottengano (o tentino di ottenere) il rimborso, anche parziale, di quanto è loro dovuto dal defunto.

Qualora uno dei chiamati all’eredità vende o dona (trasferimento a titolo non oneroso) un bene del defunto debitore, si comporta, tacitamente, da erede, il che equivale ad effettuare una dichiarazione di accettazione (espressa) dell’eredità, incompatibile, con la rinuncia.

Deve essere altresì chiaro che i chiamati all’eredità non possono scegliersi i beni del defunto per i quali accettare e quelli per i quali rinunciare: la rinuncia vale per tutti i beni del debitore, così come l’entrare in possesso, per il chiamato, anche di un solo accendino del debitore, presuppone l’accettazione dell’intera eredità del defunto, debiti compresi.

Ed allora, basterà individuare i soggetti che hanno disposto l’atto di trasferimento della proprietà del veicolo del defunto. Colui che, fra i chiamati all’eredità ha sottoscritto il passaggio di proprietà del veicolo, è da considerarsi, inevitabilmente, erede del defunto (per accettazione tacita) ed è obbligato a pagare quanto vantato dall’Agenzia delle entrate.

Senza mettere in conto la circostanza che anche il ritiro, presso l’ufficio postale, del plico indirizzato al defunto costituisce un presupposto per l’accettazione (tacita) dell’eredità.

Quando viene perfezionato un atto di compravendita e le imposte risultano corrisposte in quantità insufficiente, venditore ed acquirente sono chiamati a versare la differenza accertata, a meno che non si abbiano valide motivazioni per proporre ricorso all’accertamento.

Gli eredi del defunto debitore che sottoscrisse l’atto di compravendita, pertanto, non hanno scelta: devono adempiere alla pretesa dell’Agenzia delle entrate oppure proporre ricorso all’avviso di accertamento notificato al defunto (ed avendo ritirato il plico, ormai anche agli eredi).

Più in particolare, per quanto attiene l’atto di trasferimento della proprietà del terreno, l’alienante è tenuto a versare l’imposta sulla plusvalenza realizzata e l’acquirente deve corrispondere le imposte di registro e catastale, tutte commisurate al valore dichiarato. In caso di valore accertato del bene superiore a quello dichiarato, bisognerà integrare, come già accennato, le imposte dovute, oltre a versare le sanzioni irrogate per le dichiarazioni infedeli. Questo per dire che ciascuno dei soggetti coinvolti nell’atto di compravendita è obbligato per un importo ben definito.

Al fisco non interessa assolutamente quali siano gli accordi messi nero su bianco nell’atto di trasferimento della proprietà del terreno: per l’Agenzia delle entrate i debitori obbligati per il defunto sono gli eredi e verso di loro verrà avviata l’azione esecutiva qualora non dovessero adempiere o un eventuale ricorso non trovasse accoglimento. Da parte del fisco, dunque, non esiste alcuna possibilità di accordo con l’acquirente per “il totale pagamento delle imposte”.

Le clausole contrattuali che pongono a carico dell’acquirente anche le ulteriori tasse dovute dal venditore costituiscono solo un atto interno fra gli stipulanti che potrà essere fatto valere, eventualmente, in sede di contenzioso civile.


Per visualizzare l'intera discussione, completa di domanda e risposta, clicca qui.