Ornella De Bellis

Chiunque può disporre come crede delle proprie disponibilità in conto corrente: donare ai figli, ad esempio, o decidere di dilapidare i risparmi di una vita in donne, gioco o champagne.

Dal punto di vista fiscale, se il beneficiario è il coniuge o un figlio del donante, e se il bene donato non è un immobile, l’imposta di donazione si applica solo alla parte della base imponibile che supera la franchigia riconosciuta di un milione di euro.

Nessun obbligo discende in capo ai beneficiari rispetto ad eventuali creditori del donante.

Solo nel caso di immobili, se la donazione è stata posta in essere successivamente al sorgere del credito, il creditore può procedere direttamente contro il donatario senza dover necessariamente proporre azione revocatoria dell’atto.

Piuttosto, il problema delle disponibilità in conto corrente potrebbe porsi in seguito alla morte del genitore, nel caso in cui le procedure esecutive avviate da Equitalia non dovessero portare al completo rimborso dei crediti vantati dalla PA: i figli o accettano l’eredità facendosi carico dei debiti residuali in capo al defunto oppure vi rinunciano, nel qual caso agli eredi rinuncianti subentrerebbe Equitalia.

Sarebbe bene allora che il debitore non disponesse di troppa liquidità in conto corrente, oppure cointestasse, fin da adesso, il conto corrente a coniugi e figli.

I creditori del donante, qualora la donazione non fosse di modico valore (il concetto di modico valore si relaziona in rapporto al patrimonio complessivo del donante) potrebbero agire chiedendo l’annullamento della donazione (se non di modico valore la donazione, infatti, dovrebbe essere perfezionata da atto notarile per risultare valida) ed aggredire direttamente i beni del donatario. Ma si tratta di una ipotesi di scuola difficilmente concretizzabile nella realtà, per donazioni in denaro.


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